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L’Anarchico Luigi Lucheni: perché ho ucciso l’Imperatrice Sissi

«Non provate rimorso per aver gravato la vostra coscienza di un’azione cosi infame?».

«Coscienza? Anche le persone come me hanno una coscienza, così per lo meno si dice; ma mai nessuno ha voluto riconoscerle dignità. Chi vive nella miseria da migliaia di anni; chi è sempre stato tormentato dai potenti e dai ricchi – o da uno solo –, chi è dovuto morire nelle loro guerre, non deve pentirsi di niente!».

Queste parole, tratte dall’interrogatorio di polizia all’assassino dell’Imperatrice Sissi, una donna sola, infelice e prostrata dal suicidio del figlio,  potrebbero essere convogliate senza scarti nelle dichiarazioni simili fatte da soggetti che hanno compiuto azioni simili. Eppure, quanto alla povera Sissi e all’Impero Austro Ungarico, dovrebbe o potrebbe intervenire un’altra dichiarazione dalla tomba in cui giace, ed è quella di Joseph Roth che (anche) nella Cripta dei Cappuccini, esprime tutta la sua nostalgia per l’Impero Austro Ungarico. In ogni caso, Brigitte Hamann, nella sua biografia, la descrive come democratica e repubblicana, ormai separata di fatto dal marito.  Il suo assassinio non è stato soltanto un atto ignobile, ma anche frutto di colpevole ignoranza.

Cos’era l’anarchia? Era – soltanto – la fase finale del comunismo, il paradiso perduto di un’ideologia che si potrebbe studiare non tanto nell’ambito delle scienze politiche bensì in sede di Storia delle Religioni.

Mentre il comunismo ti faceva arrivare al paradiso dopo un breve soggiorno nell’inferno (la dittatura del proletariato, che poi Lenin converte nella dittatura del partito) l’anarchia ti conduceva difilato nella società senza Stato profetizzata da Karl Marx previo esercizio di qualche atto violento che viene inconsciamente inserito nella sacca poco spirituale dei danni collaterali.

Quella società comunista sotto mentite spoglie che cercano gli anarchici e che invocavano i leninisti come prezzo da pagare per un’esistenza disgraziata, è esistita soltanto nel kibbutz e, in parte, sopravvive ancora: una società di eguali basata sul consenso.

Ora che dall’armamentario museologico rivive l’anarchia, in una delle sue molteplici declinazioni, non sarebbe male ricordare il kibbutz passato e qualche kibbutz presente, per ricavarne consolazione: gli idealisti sono realmente esistiti ed erano tutti sionisti.

Emanuele Calò (c) riproduzione riservata