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Perplesso senza guida 3

Sicurezza

Riguardo all’analisi del recente voto in Israele, non c’è dubbio che un fattore determinante, ai fini della sua interpretazione, sia quello della sicurezza. Si tratta, com’è noto, di un argomento da sempre essenziale per la popolazione israeliana, fin dagli inizi del sionismo, molto prima della fondazione dello stato. Anzi, potremmo dire che la stessa idea del sionismo nasce da una primaria esigenza di sicurezza, ossia dall’esigenza di offrire agli ebrei perseguitati e minacciati, nelle varie località del mondo, un rifugio sicuro, dove vivere in pace e sicurezza. Tale esigenza, dopo la Shoah, si è ripresentata con drammatica urgenza, e le reiterate guerre di aggressione, così come i continui attentati terroristici all’interno del Paese, hanno impedito che ci potesse mai essere, nella storia di Israele, un solo giorno in cui tale problema potesse considerarsi secondario.

Certo, il nome e il volto dei nemici cambia nel tempo. Quelli che per decenni sono stati nemici giurati, come l’Egitto o la Giordania, oggi non sono più tali (toccando ferro), mentre l’Iran, oggi la minaccia n. 1, prima della rivoluzione khomeinista non rappresentava un problema. E anche sul piano diplomatico le cose cambiano. L’Europa sembra oggi meno pregiudizialmente ostile di un tempo, ma certo non proprio amica, mentre la Russia torna a mostrare un antico volto aggressivo e antisemita, e le vere intenzioni del colosso cinese restano enigmatiche. L’America sembra ancora essere un alleato fidato, ma chi sa. Del carrozzone delle Nazioni Unite non vale neanche la pena di parlare, per fortuna conta quanto il due di picche. E c’è poi il continuo, sanguinoso stillicidio di attentati terroristici, con le autorità mondiali che, nel commentarli, mettono sullo stesso piano, con sublime imparzialità, le innocenti vittime civili degli attentati e gli assassini abbattuti dalle forze di sicurezza.

Penso che sia difficile, per chi non viva in Israele, rendersi pienamente conto di quanto questo problema sia pressante, e riguardi non solo la quotidianità, ma anche il futuro, prossimo e remoto. Un cittadino israeliano avrebbe il diritto, come chiunque al mondo, di potere uscire di casa sereno e fiducioso di farvi ritorno, senza essere dilaniato da una bomba, centrato da un missile o falciato da una raffica di mitra. Non solo, avrebbe anche il diritto di sapere che i suoi figli e nipoti siano al riparo da una catastrofe nucleare, scatenata da una forza demoniaca che nega, semplicemente, il loro diritto ad esistere.

Riguardo a tale questione, la geografia del voto in Israele rivela con chiarezza che, nelle zone dove il problema della sicurezza è più sentito, i voti sono andati in prevalenza a destra o all’estrema destra. A Sderot, per esempio, solo il 5 % ha votato per il partito di Lapid, mentre la grande maggioranza dei suffragi sono andati al Likud e al Sionismo religioso.

Come commentare questo dato? Io vivo in quartiere di Napoli, il Vomero, tra i più sicuri al mondo, e in tutta la mia vita ho subito una sola rapina a mano armata (tra l’altro, sarà stata l’unica volta in cui il mio portafogli era assolutamente vuoto, non ci ho rimesso neanche un centesimo, e il rapinatore non mi faceva proprio paura, anzi, anche un po’ pena). Quando vado a dormire la sera, non prevedo di svegliarmi, nel cuore della notte, per andare a cercare scampo nei rifugi, per fuggire a un attacco missilistico, magari portando a spalla dei bambini, degli anziani o dei disabili. Non mi permetto pertanto, in nessun modo, di giudicare i sentimenti e le scelte di chi vive in situazioni tanto più difficili della mia.

Mi permetto solo, con grande umiltà, di notare due cose.

La prima è che sempre, nella storia di Israele, c’è stata piena comunanza di vedute sulla necessità di un massimo impegno nel fronteggiare le minacce interne ed esterne. Le differenze tra i diversi partiti riguardano le strategie politiche e diplomatiche, ma non mi risulta che nessuna forza (ad eccezione di qualche piccolo partito arabo estremista, non rappresentato nella Knesset) abbia mai abbassato la guardia su questo fronte. Si tratta di un problema comune, su cui ci dovrebbe essere assoluta unità di intenti.

La seconda è che la sicurezza non si difende solo con le armi, ma anche in molti altri modi. Con la diplomazia, l’istruzione, il welfare, l’economia, la scienza, la cultura. Qualcuno pensa forse che Israele sia arrivato fino ai traguardi odierni con la sola forza delle armi?

Credere che la sicurezza aumenti facendo la faccia feroce, secondo me, è un’illusione. E credo anche che il rapporto tra percezione del pericolo e voto elettorale non rifletta tanto diverse strategie su come perseguire l’obiettivo della sicurezza, ma piuttosto i diversi stati d’animo verso coloro da cui proviene il pericolo. Chi vive sotto l’incubo quotidiano delle bombe nutre inevitabili pulsioni di inimicizia e astio verso quelle popolazioni in cui si annidano i nemici.

Sono sentimenti umani e comprensibilissimi, che probabilmente proverei anch’io, e che, ripeto, non mi permetto assolutamente di giudicare. Ma non credo che le scelte da essi conseguenti incidano sul fattore sicurezza.

Francesco Lucrezi, storico