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Barbara Henry, Dal golem ai cyborg, Trasmigrazioni nell’immaginario. Belforte Editore, 2016

Un saggio ricco di suggestioni rappresenta questa proposta di lettura. Si tratta di un’opera non recentissima il cui titolo corrisponde a Dal golem ai cyborg, Trasmigrazioni nell’immaginario, che conserva a distanza di quasi dieci anni dalla pubblicazione il suo carattere di visionaria analisi. Il libro di Barbara Henry restituisce infatti il quadro dell’orizzonte contemporaneo pervaso dalla tecnologia, non solo in termini di oggetti tecnologici quanto di espressione e di percezione.  Per espressione alludiamo innanzitutto al linguaggio, inizialmente tecnico, delle macchine e dei loro programmatori-manutentori, e che oggi pervade anche il linguaggio ordinario ibridando concettualmente, prima ancora che fisicamente, l’individuo – e la società –. Attraverso un complesso passaggio, dunque, l’autore spinge a rilevare come questo mito dell’ibrido, il cyborg del titolo, provenga in realtà da un immaginario remoto evocato nelle figure del Golem che, come si può intuire, solleva il tema dell’individuazione delle più antiche suggestioni dell’antropoide artificiale. Emerge allora un ricco repertorio di rimandi storici e di significati che facilmente trascendono l’opera, spalancando scenari diacronici, antichi e futuri, di insondabile profondità filosofica. Siamo d’altronde ad essa pervenuti proprio attraverso vari articoli che, a volte criticamente, ne hanno ripreso i contenuti per dare luogo a intense meditazioni. Pensiamo in primis a quello di Simone Vaccaro che evoca l’effetto rebound di fruitori plasmati dalle tecnologie, i quali influenzerebbero a loro volta gli sviluppatori, generando un processo, questo sì inedito, di “mortalità macchinale”: « decesso (auto)programmato dell’apparato, un sacrificio ontogeneticamente rilevante per la sopravvivenza filogenetica ». Pervenendo all’intuizione che « […] si possono intravvisare in questa definizione fornita nel corso del libro un possibile rinvio ai modelli archetipici junghiani nonché alla sempre feconda philosophia perennis in quanto patrimonio dell’essere uomo in quanto uomo (qualunque cosa ‘uomo’ significhi). Morte e vita; obbedienza e ribellione; programmabilità e alea si riaffacciano prepotentemente proprio ora che sembra essersi trovata se non una soluzione, quanto minimo una direzione da percorrere» (Simona Vaccaro, Dal Golem ai Cybord: distopia teologica?, in arenaphilosophika.it, 24/6/2020) . È questa però una sola tra le numerose considerazioni che si dipanano dal testo, ed è questo il motivo per cui ci è sembrato interessante suggerirne la lettura, consapevoli che si tratta di un lavoro adatto a un pubblico provveduto e avvezzo a riflessioni complesse, qual è appunto il nostro.  

 

Gennaro A.Avano

saggista e antropologo