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RAPPRESENTAZIONI DI ISRAELE NELLA STAMPA ITALIANA NEGLI ANNI 2011 e 2024

 

2011

RAPPRESENTAZIONI DI ISRAELE NELLA STAMPA ITALIANA

ANALISI DI PROFILI LESSICALI

Ravenna, M. e Brambilla, M. (2011). Rappresentazioni di Israele nella stampa italiana: analisi di profili lessicali. Rassegna di Psicologia28 (1), 63-79. ISBN: 978-88-430-5981-2. Rassegna di Psicologia, Fascicolo 1/2011, gennaio aprile.

Questo lavoro è stato realizzato nel quadro del programma PRIN 2007 “Fattori di moderazione del pregiudizio sociale” (Coordinatore scientifico: A. Palmonari). Titolo del programma dell’unità di ricerca: “Atteggiamenti anti-israeliani e antisemiti nelle rappresentazioni degli Italiani e della stampa” (prot. n. 2007PJYAKF 004) di cui il primo autore è responsabile scientifico.

La corrispondenza va inviata a Marcella Ravenna, Dipartimento di Scienze Umane, Università di Ferrara, Via Savonarola 19, 44100 Ferrara, e-mail: marcella.ravenna@unife.it

Riassunto. Considerata l’attenzione dell’opinione pubblica europea alle vicende internazionali che interessano Israele ed il ruolo esercitato dai mass media nel trasmettere informazioni al riguardo, scopo di questa ricerca è di investigare come si parla di Israele nella stampa italiana.  A tale fine abbiamo analizzato, tramite analisi di archivio, le informazioni  rintracciabili nei testi di 141 articoli pubblicati da quattro quotidiani italiani durante la seconda guerra del Libano. I principali risultati, discussi nel quadro degli studi su relazioni intergruppi, antisemitismo e comunicazioni di massa, mostrano  una rappresentazione articolata di Israele: nello specifico emergono due immagini contrapposte proposte, coerentemente alle attese, dai giornali politicamente orientati a destra ed a sinistra. La presenza contenuta di repertori stereotipici negli articoli ed il fatto che questi ultimi non veicolino un’immagine univoca di Israele ci porta a ritenere che la stampa considerata eserciti un’influenza moderata nel trasmettere immagini stereotipiche di Israele.

 Parole Chiave: Israele, Rappresentazioni, Stampa italiana, Analisi di Contenuto

THE REPRESENTATIONS OF ISRAEL IN THE ITALIAN PRESS: A LEXICAL PROFILES ANALYSIS

 Abstract. Considering the attention paid by the European public opinion on international events affecting Israel and considering the role played by the media in transmitting information about social groups, the purpose of this research is to investigate the representations of Israel in the Italian press. More specifically, we analyzed the contents concerning Israel in the texts of 141 articles published by four Italian national newspapers during the Second Lebanon War. The findings, discussed in the frame of studies on mass communications, intergroup relations and anti-Semitism,   showed that the texts convey two contrasting images, according to the political orientation of the newspapers. Such findings lead us to believe that the press has a moderate influence in conveying stereotypical images of Israel. The texts  convey the traditional stereotypical contents ascribed to Israel. Taken together the findings lead us to believe that the Press has a moderate influence in conveying stereotypical images of Israel.

 Keywords: Israel, Representations, Italian press, Content Analysis

RAPPRESENTAZIONI DI ISRAELE NELLA STAMPA ITALIANA: ANALISI DI PROFILI LESSICALI

La storia dello Stato di Israele, oggetto di dibattito fin dalla sua costituzione (Bauer, 2001; Bensoussan, 2008), è assai complessa e non esente dal riverbero che le politiche dei blocchi contrapposti esercitarono sui conflitti che si sono susseguiti nel tempo. E’ tuttavia a partire dalla guerra dei sei giorni, seguita dall’occupazione dei territori conquistati e dal regime imposto ai palestinesi, che l’atteggiamento dell’opinione pubblica europea verso Israele inizia a diventare meno favorevole. Diffidenza e ostilità  si sono intensificati in rapporto agli andamenti del conflitto mediorientale  e risultano in complesso più diffusi nei paesi dell’Europa occidentale rispetto a quelli della parte orientale (ADL, 2004; Bergmann, 2008, EUMC, 2003). Per quanto concerne l’Italia tali atteggiamenti sono stati rilevati sia in occasione di manifestazioni sportive, politiche e in prodotti culturali (Levis Sullam, 2004; Luzzatto Voghera 2007), sia da indagini di opinione e ricerche psicosociali  (Mannheimer, 2004; Ravenna e Roncarati, 2007, 2009). Il complesso rapporto fra ostilità verso Israele ed antisemitismo, relativamente trascurato dagli studi sul pregiudizio, è al centro di un importante e recente studio sperimentale (Cohen, Jussim, Harber e Bhasin, 2009).  Esso dimostra che in condizioni di minaccia (salienza circa la mortalità) l’antisemitismo genera ostilità verso Israele (anche se non tutta l’ostilità verso Israele deriva dall’antisemitismo) e che tale ostilità accresce a sua volta l’antisemitismo.

In rapporto agli effetti del conflitto in atto sugli atteggiamenti intergruppi ed in considerazione delle relazioni intercorse fra i fondatori di Israele e i membri dei paesi europei, questo studio approfondisce, tramite analisi lessicale, come Israele è rappresentato nella stampa italiana in un periodo di guerra. Si tratta in specifico della seconda guerra del Libano. Combattuta nel Sud del Libano e nel Nord di Israele, essa è stata scatenata,  il 12 luglio 2006 dagli attacchi degli Hezbollah (esponenti del partito sciita del Libano) con razzi katyusha e colpi di mortaio sia in direzione di alcuni villaggi israeliani di confine, che di due mezzi israeliani di pattuglia. Israele ha risposto con un’operazione militare su vasta scala in territorio libanese che si è conclusa con il cessate il fuoco del 14 agosto, decretato per intermediazione delle Nazioni Unite. Nel corso di tale conflitto sono deceduti circa 1195 miliziani e civili libanesi e 163 militari e civili israeliani.

  1. Mass media e immagini dei gruppi sociali

Gli studi sugli effetti dei media sulle opinioni delle persone, iniziati in ambito psicosociale nei primi anni 20, hanno prodotto una mole cospicua di evidenze empiriche che sono via via confluite nella communication research  (Cheli, 1992; Losito, 2009; Mazzara, 2008; Wolf, 1985). Diversamente dai primi approcci comportamentisti, secondo cui i media esercitavano effetti diretti, marcati ed omogenei sui fruitori (Defleur e Ball-Rokeach, 1989), approcci successivi hanno invece considerato il ruolo di mediazione dei processi cognitivi e motivazionali nel determinarne gli effetti sia a breve che a lungo termine (Losito, 1994, Arcuri e Castelli, 1996). Proprio in quest’ultimo ambito si colloca la teoria dell’agenda setting (McCombs e Shaw, 1972, 1993) secondo cui l’influenza dei media consiste nell’attirare l’attenzione del pubblico su temi, eventi, persone (Shaw, 1979). L’enfasi e lo spazio accordato ad una notizia così come il presentarla ripetutamente influenzano infatti in modo sottile il modo in cui i fruitori costruiscono una propria personale agenda entro cui collocano le notizie apprese. Se dunque i media indicano le informazioni a cui occorre prestare attenzione e qual è la loro importanza relativa ad un dato momento, ciò si traduce nei giudizi d’importanza che l’opinione pubblica formula al riguardo.

Gli studi sulle relazioni intergruppi hanno altresì estesamente dimostrato che i media hanno un ruolo cruciale nel produrre e perpetuare le immagini dei gruppi sociali (Bar-Tal e Teichman, 2005; Van Dijk, 1991). E’ infatti grazie ad essi che le persone costituiscono i propri schemi interpretativi della realtà sociale, specie quando si tratta di fatti che riguardano Paesi di cui difficilmente si ha esperienza diretta (Koopman, Snyder e Jervis, 1989; Silverstein e Flamenbaum, 1989). Secondo Bar-Tal (vedi Bar-Tal e Teichman, 2005) pregiudizi e stereotipi intergruppi sono disseminati e trasmessi da meccanismi societali che consistono in istituzioni politiche, mass media, prodotti culturali e istituzioni educative. E’ tramite tali meccanismi che i membri di un gruppo non solo acquisiscono informazioni utili a formare o a modificare gli stereotipi, ma ricevono anche in modo diretto credenze, atteggiamenti ed emozioni su altri gruppi. L’insieme di queste conoscenze entra a fare parte della cultura di un gruppo anche grazie agli scambi che avvengono nell’ambiente micro sociale contribuendo a creare un clima che facilita o inibisce la formazione di particolari stereotipi. Poiché ogni membro elabora le informazioni sociali individualmente, le caratteristiche personali di ognuno influenzeranno a loro volta il modo in cui le informazioni su un dato outgroup sono assorbite, interpretate e valutate, organizzate e immagazzinate. In un’ottica intergruppi  i lavori di Bar-Tal, Raviv, Raviv e Brosh (1991) evidenziano che l’influenza dei mass media  dipende da quanto essi forniscono una immagine univoca (o egemonica) dell’outgroup, dalla disponibilità e dall’uso di canali alternativi di comunicazione,  da quanto essi raggiungono la maggioranza dei membri del gruppo e da quanto i membri dell’ingroup ottengono informazioni ritenute affidabili sulla natura delle relazioni intergruppi e sull’outgroup in particolare.

Se il modello di Bar-Tal contestualizza dunque il ruolo dei mass media rispetto ad altre fonti di influenza sia nel generare che nel modificare specifici repertori intergruppi,  i lavori di Van Djk, 1987 e di altri studiosi contribuiscono invece a precisare le strategie impiegate dai mass media nel produrre pregiudizio specie nei confronti delle minoranze. Essi mostrano infatti che l’impiego da parte della stampa  di informazioni filtrate in base alle posizioni dell’ingroup e di specifiche strategie di presentazione di fatti e notizie (priming, cornice interpretativa, ordine del discorso, significato, forme retoriche, tipo di argomentazioni, Gamson, 1992; Iyengar e Kinder, 1987) riferite ad un outgroup, strutturano  i “modelli mentali” e le conoscenze delle persone nei confronti di determinati gruppi sociali che ne influenzeranno i giudizi, le azioni e le interazioni nei confronti di tali gruppi.

  1. Le rappresentazioni di Israele nei mass-media

Mentre un corpus considerevole di studi di tipo storico-politico accorda ai media un ruolo di rilievo nel trasmettere informazioni negative su Israele, indagini realizzate nell’ambito delle comunicazioni di massa giungono invece a conclusioni assai diverse.  Nel primo caso rientrano le analisi della maggiore parte degli studiosi di antisemitismo (Goldstaub, 2006; Harrison, 2007; Pickett, 2003 Pulzer, 2003; Wistrich, 2006), secondo cui  i mass media non solo veicolano informazioni lacunose e spesso negative su Israele ma impiegano talvolta veri e propri repertori stereotipici. Repertori che hanno a che fare con la natura stessa dello Stato di Israele e con le decisioni politiche attuate (giudizi di legittimità, attribuzione di responsabilità per il conflitto, applicazione di un doppio standard); in cui si propongono  equazioni fra Israele e nazismo così come l’idea di un uso strumentale della Shoah;  in cui si favorisce una contrapposizione fra ebrei solidali e critici verso le politiche di Israele e solo con questi ultimi si può ragionare di pace.  Altri diversificati contributi (Parfit e Egorova, 2004) convergono nel rilevare, secondo modalità altrettanto intuitive, rappresentazioni negative di Israele da parte dei media di differenti paesi.

Rientra invece nel secondo caso l’estesa ricerca realizzata da Philo e Berry (2004) sui contenuti delle cronache di due emittenti televisive inglesi in differenti periodi del conflitto israelo-palestinese (2000, 2001, 2002), nonché sugli effetti di tali cronache sull’audience. Lo spazio accordato alla prospettiva di Israele, in termini di Paese vulnerabile e sotto minaccia, risulta prevalente sia nei titoli e nelle news che nelle interviste, rispetto a quella dei palestinesi come collettività sottoposta a controllo militare israeliano. Così, anche se morti e feriti palestinesi risultano più numerosi di quelli israeliani, si  rileva però maggiore attenzione per i feriti israeliani, verso i quali sono usate espressioni emotive di notevole impatto, non altrettanto impiegate nei confronti dei Palestinesi. Pure se nelle descrizioni del conflitto compaiono elementi di antisemitismo, la cornice e la struttura con cui le  notizie sono presentate, tendono in complesso a favorire la prospettiva di Israele.  Il lavoro mostra in sostanza che, diversamente dalla stessa stampa inglese, nelle rappresentazioni televisive Israele risulta dominante. Ciò viene ricondotto alle influenze esercitate sui media da gruppi di pressione interessati/coinvolti nell’area e alle convergenze fra Usa e Regno Unito nella lotta al terrorismo. Infine, un’analisi dei frame proposti dalla stampa statunitense e israeliana sull’intifada (Wolfseld, 1997) mostra che, mentre quelli riferiti ai Palestinesi (che lottano per stabilire un proprio Stato) sono scarsamente rintracciabili nella stampa israeliana,  essi risultano invece assai più  presenti in quella statunitense.

Se il  quadro delineato rende evidente il ruolo cruciale dei media nel produrre e perpetuare le immagini dei gruppi sociali,  nessuna ricerca ha sinora indagato le rappresentazioni di Israele veicolate dai media italiani. Scopo di questa ricerca è pertanto di investigare in un’ottica intergruppi ed in riferimento agli studi su antisemitismo e comunicazioni di massa, le rappresentazioni  di Israele veicolate dalla stampa. Poiché le informazioni riguardanti Israele presentano un certo grado di complessità (Klug, 2003), la scelta di un canale come quello della stampa, se pure meno fruito, ci sembra particolarmente pertinente. E’ stato infatti dimostrato che i messaggi scritti hanno maggiore efficacia persuasiva (Chaiken e Eagly, 1976), e talvolta un ruolo cruciale nella riproduzione dei pregiudizi (Van Dijk, 1991), proprio quando trattano di argomenti non semplici.

  1. Obiettivi e Ipotesi

Questa ricerca investiga le rappresentazioni di Israele veicolate dalla stampa italiana  in un arco delimitato di tempo. Il nostro obiettivo iniziale era di comparare gli articoli pubblicati in un periodo di guerra (luglio – agosto 2006) con quelli di un periodo di relativa pace (aprile – maggio 2006). Il fatto però che da un’indagine preliminare questi ultimi siano risultati esigui, supportando pertanto l’idea che di Israele si parli pubblicamente soprattutto in rapporto a situazioni di conflitto, ci ha  indotti a delimitare la nostra indagine al solo periodo di guerra[1]. La ricerca analizza dunque gli articoli che trattano della Seconda guerra del Libano, pubblicati da quattro quotidiani nazionali con differente orientamento politico. Il primo obiettivo di questa indagine è pertanto di  cogliere i contenuti informativi riferiti ad Israele nel corpus degli articoli in funzione dell’orientamento politico delle testate giornalistiche. Ci interessava inoltre esplorare la presenza, negli articoli presi in esame, dei contenuti stereotipici nei confronti di Israele identificati dagli studi sull’antisemitismo (obiettivo 2).

A proposito del primo obiettivo, in accordo con le evidenze di un recente rapporto (European Jewish Congress, 2006) e con le posizioni pubblicamente espresse dalla coalizione di centro destra a sostegno di Israele, prevediamo che  i contenuti  degli articoli riferiti ad Israele si differenzino fra le testate (ipotesi 1a) e siano più favorevoli nei quotidiani orientati politicamente a destra rispetto a quelli di sinistra (ipotesi 1b). Rispetto al secondo obiettivo, in linea con quanto emerso negli studi sull’antisemitismo (Goldstaub, 2006; Harrison, 2007; Pickett, 2002; Pulzer, 2003; Wistrich, 2006), prevediamo altresì di cogliere la presenza dei contenuti stereotipici delineati nell’introduzione (ipotesi 2a). Tuttavia, due diverse ipotesi possono essere avanzate rispetto all’entità di tali contenuti. Se in accordo con i già citati lavori sull’antisemitismo è possibile supporre che essi  siano considerevolmente presenti (ipotesi 2b), considerando invece le ricerche secondo cui espressioni discriminatorie comparirebbero maggiormente nelle conversazioni che non nella stampa (Van Djik, 1987), è possibile altresì ipotizzare che la stampa italiana faccia scarso riferimento a tali contenuti (Ipotesi 2c).

 Metodo

 4.1. Corpus

Sono stati presi in esame gli articoli  di quattro quotidiani italiani che riportavano nei titoli riferimenti espliciti alla seconda guerra del Libano. Nello specifico sono stati selezionati tutti gli articoli che nel titolo riportavano almeno una delle seguenti parole-chiave: Libano, Guerra, Israele, Crisi, Hezbollah. Gli articoli selezionati per quest’indagine sono quelli pubblicati  fra il 21 luglio ed il 5 agosto 2006 da Repubblica e  Manifesto, politicamente orientati a sinistra, dal Foglio, orientato a destra, e dal Corriere della Sera, considerato neutrale.

4.2. Procedura

Le informazioni veicolate su Israele dai quattro quotidiani prescelti sono state investigate tramite ricerca di archivio, una metodologia appropriata per analizzare “materiali e dati già esistenti” ai fini di cogliere in profondità i processi psicologici nel loro contesto culturale e storico  (Weber, 1985). Oggetto d’indagine sono stati i testi degli articoli selezionati che sono stati analizzati mediante il programma T-LAB Pro 4.0. Frequentemente  impiegato per analisi di contenuto  in differenti tipi di indagini (Castelli, Vanin e Brambilla, 2006; Colombo, Castellini e Colombo, 2008; Graffigna, Bosio e Olson, 2008; Mancini, 2007; Villano, Prati e Palestini, 2008), esso consente di compiere specifiche operazioni (classificazione, scomposizione, stabilire relazioni) entro un corpus testuale (Lancia, 2004). Il corpus di ogni articolo è stato, pertanto, trascritto in formato solo testo con estensione .txt. Le trascrizioni sono state inoltre preliminarmente trattate, inserendo i pronomi sottointesi, disambiguando le parole con più di un significato (es. il lemma “stato” usato come condizione o come forma politica), riconducendo le parole alla loro radice lessicale (ad esempio il lemma “combattevano” viene ricondotto all’infinito presente, i.e., “combattere  ) e creando stringhe unitarie riconoscibili dal software per alcune locuzioni significative (es. cessate_il_fuoco). Infine è stato realizzato un unico file contenente le trascrizioni di tutti gli articoli, codificati in base alla testata giornalistica  nel periodo temporale considerato. Dopo la fase di importazione del corpus testuale, al fine di cogliere  eventuali somiglianze e differenze nella composizione lessicale dei testi degli articoli in funzione delle quattro testate giornalistiche abbiamo effettuato un’analisi delle corrispondenze lessicali[2].

  1. Risultati

Gli articoli riferiti al conflitto con il Libano nel periodo considerato risultano in totale 141 ed appaiono variamente ripartiti fra le testate: 58 pari al 41,1% per Repubblica; 38, pari al 27% per il Corriere della Sera; 23, pari al 16,3% per il Foglio e 22, pari al 15,6% nel caso del Manifesto.

 5.1. Analisi dei testi degli articoli 

Per cogliere le espressioni riguardanti Israele nel quadro delle scelte lessicali e contenutistiche degli articoli considerati in funzione delle testate giornalistiche abbiamo sottoposto ad analisi delle corrispondenze lessicali l’intero corpus dei 141 articoli che si compone di 39633 unità lessicali.  Lo spazio geometrico che risulta dall’analisi effettuata è composto da tre fattori. Mentre il primo (asse delle ascisse)  separa gli articoli di Manifesto e Foglio da quelli di Repubblica e Corriere della Sera, il secondo fattore (asse delle ordinate) differenzia invece Foglio e Corriere della Sera da Repubblica e Manifesto. Il terzo, infine, non rappresentato nel grafico bidimensionale, distingue gli articoli di Repubblica e del Foglio da quelli del Corriere della Sera e Manifesto.. In figura 1 è possibile osservare la posizione delle quattro testate giornalistiche sul piano cartesiano.

Circa qui Figura 1

Abbiamo quindi interpretato i fattori ottenuti analizzando le unità lessicali che contribuiscono a formare ciascuna polarità fattoriale (tabella 1, 2, 3). Per quanto riguarda il primo fattore, le unità lessicali che si collocano nella polarità positiva (Corriere della Sera e  Repubblica)  richiamano sia  i modi  con cui la guerra è stata condotta che gli effetti prodotti. Se da un lato infatti, parole quali “missile”, “battaglia” e “bombardamento” evidenziano le modalità con cui essa è stata combattuta, dall’altro espressioni quali “strage”, “massacro” e “maceria” ne indicano le conseguenze, in termini di vite umane perdute, (e.g. “Un missile è arrivato a 70 km più a Sud” – Corriere della Sera; “La battaglia di terra avanza” – Corriere della Sera; “Ecco giungere notizia del bombardamento di Cana” – Repubblica; “Altre 34 vittime sepolte sotto le macerie” – Repubblica; “Nel quartiere dove è avvenuto il massacro” – Corriere della Sera). Nella polarità negativa (Manifesto e  Foglio) le espressioni rilevate rimandano invece agli organismi politici e ai Paesi direttamente o indirettamente coinvolti nella guerra, quali ad esempio Nato, USA, Libano, Iran, Europa (“Il Libano è, come sostengono  gli Stati Uniti, il giardino in cui alcuni paesi, Siria e Iran, vengono a giocare allo scopo di favorire i loro interessi strategici” – Manifesto; Europa e Stati Uniti si fanno pilastri dell’occidente” – Foglio). Il fattore richiama dunque aspetti contestuali riferiti alla guerra, sia in rapporto allo svolgersi degli eventi che ai paesi ed organismi internazionali coinvolti: se Repubblica e Corriere della Sera  si concentrano maggiormente sul primo aspetto, Manifesto e Foglio si focalizzano invece sul secondo.

Circa il secondo fattore, mentre sulla polarità positiva sono rintracciabili posizioni di condanna delle azioni di Israele e, inaspettatamente in questo contesto, sostegno al popolo palestinese, su quella negativa si rileva invece condivisione. Così sul polo positivo, ove si collocano  Manifesto e Repubblica, si riscontrano nel caso del primo quotidiano parole quali “crimine” (“L’attacco israeliano sul Libano è un crimine di guerra” – Manifesto; “La distruzione deliberata e sistematica dell’infrastruttura sociale del Libano da parte delle forze aeree di Israele è un crimine di guerra” – Manifesto) e “sequestro” (“sequestro della sovranità palestinese” – Manifesto) che esprimono, più che mere posizioni critiche, una netta condanna dell’operato del governo Israeliano. D’altra parte negli articoli di Repubblica parole come “dramma” (“Non bisogna dimenticare il dramma dei palestinesi” – Repubblica), “palestinese” (“sono momenti difficili per il popolo palestinese” –  Repubblica) e “libanese” (“Barbara aggressione al popolo libanese” – Repubblica) rimandano ad  espressioni di  sostegno alla popolazione libanese ed  anche a quella palestinese. Sulla polarità negativa (Foglio, Corriere della Sera), si rilevano invece espressioni di preoccupazione per Israele e di sostegno al suo operato ai fini della sua sopravvivenza. Termini quali “minaccia” (“Non si rendono conto della minaccia ad Israele” – Foglio; “Andare avanti sino a quando la minaccia non sarà sradicata” – Corriere della Sera), “sopravvivenza” (“Il governo Israeliano combatte per la sopravvivenza” – Foglio), “ebraico” (“é in gioco la sopravvivenza dello stato ebraico” – Foglio), “democrazia” (“Israele e la sua democrazia” – Foglio) ,  “Israele” (“ Lancio di razzi contro Israele” – Corriere della sera; “Sono piovuti addosso ad Israele 1500 missili” – Corriere della Sera) colgono questo specifico aspetto. Questo fattore, a carattere prevalentemente valutativo, sembra pertanto contrapporre le testate giornalistiche che esprimono sostegno ad Israele come Paese sotto attacco (Foglio e Corriere della Sera) a quelle che manifestano al riguardo posizioni critiche (Manifesto) e che fanno esplicito richiamo alle sofferenze della popolazione libanese e palestinese (Repubblica).

Le unità lessicali che si collocano nella polarità positiva del terzo fattore (Corriere della Sera e  Manifesto) richiamano gli effetti a medio e lungo termine del conflitto  qualora non si giunga ad una sua risoluzione. I termini che colgono questo aspetto sono in specifico: “morto” (“Bisogna dire basta  a quei morti che passano sotto la telecamera” – Corriere della Sera),  “civile” (“Ogni giorno si uc­cidono civili; abbiamo bisogno che cessi il fuoco” – Manifesto), “causare” (“Ci ap­pelliamo a Israele affin­ché concordi un cessate il fuoco bi­laterale. Questo perché non esistono giustificazioni per causare ulteriori sofferenze e spar­gimenti di sangue su entrambi i fronti” – Corriere della Sera”). Le espressioni che si collocano nella polarità negativa, (Repubblica e Foglio) richiamano invece la necessità di un negoziato e di un cessate il fuco fra le parti, sottolineando l’importanza del coinvolgimento di organismi internazionali e dei Paesi Occidentali al fine di promuovere la pace. Ciò è espresso in parole quali “forza internazionale” (“La sfida è quella di produrre un pia­no per il dispiegamento di una credibile forza internazionale” – Foglio; “In Libano deve essere subito autorizzata una forza internazionale sotto il mandato Onu per garantire sicurezza” – Foglio), “tregua” (“La tregua è la cosa più importante per un cessate il fuoco” – Repubblica) “creazione” (“Abbiamo necessità della crea­zione di una simile forza sul fron­te libanese per far ripartire il processo di pace” – Repubblica),  “Prodi” (“Prodi rilancia la ricetta italia­na per una solu­zione alla vicen­da libanese” – Repubblica), “Bush”e “Rice” (“Bush ha dato istruzioni al­la Rice per definire una risolu­zione accettabile” – Repubblica). In complesso il fattore sembra pertanto richiamare aspetti concernenti il processo di pace sia in termini di organismi coinvolti al fine di promuoverla che degli effetti che il mancato cessate il fuoco determinerebbe su entrambi i fronti.

Benché sia il primo che il terzo fattore contrappongono gli effetti/andamenti del conflitto agli organismi internazionali coinvolti, si tratta però di due fattori distinti. L’analisi degli enunciati (lemmi) specificati in tabella chiarisce, infatti, che mentre il primo fattore richiama direttamente la “guerra” il terzo ha per oggetto la “pace”. Così, se da un lato si descrivono gli effetti immediati del conflitto (primo fattore), dall’altro si considerano le implicazioni di una mancata risoluzione del conflitto (terzo fattore). Allo stesso modo, il richiamo a Paesi ed organismi internazionali è diverso nei due fattori: mentre infatti  il primo li rapporta agli andamenti del conflitto, il terzo fattore li rapporta più propriamente al ruolo che essi hanno nel processo di pace.

Circa qui tabelle 1, 2, 3

5.2. Contenuti stereotipici nei titoli e nei testi

In relazione all’ipotizzata presenza dei contenuti stereotipici delineati nell’introduzione (secondo obiettivo) l’analisi effettuata è stata necessariamente di tipo induttivo, in linea con precedenti lavori sull’antisemitismo (Ravenna e Roncarati, 2007, 2008). Così, l’impiego dei termini  “crimine” (Manifesto) e “barbara aggressione” (Repubblica) nel corpus degli articoli ci paiono indicativi di un certo grado di demonizzazione della politica di Israele, che si riallaccia in specifico al primo nucleo. Circa l’inaspettata presenza di riferimenti al popolo palestinese nel secondo fattore, essa veicola l’idea che, se si parla di Israele, non si può necessariamente trascurare i Palestinesi, in un intreccio che sembrerebbe assumere valore normativo.

 Discussione e conclusioni

Tramite analisi di archivio questo studio ha investigato una questione finora non esplorata dalla ricerca psicosociale, ovvero le rappresentazioni di Israele veicolate dalla stampa italiana.  Più precisamente esso ha analizzato le informazioni su Israele rintracciabili nei testi degli articoli pubblicati da quattro importanti quotidiani di differente orientamento politico in un contesto del tutto specifico, ovvero quello della seconda guerra del Libano (2006). Come testimonia  il nostro studio preliminare, la scarsa entità  di articoli su Israele in un periodo di pace rispetto a quelli pubblicati in uno di conflitto, (nota 1), in linea con l’approccio dell’agenda setting, ci sembra un elemento di sfondo che può contribuire ad attivare rappresentazioni stereotipiche di elevata competitività e/o minaccia da parte di Israele (Cohen et al., 2009; Ravenna e Roncarati, 2007).

Circa le questioni affrontate negli articoli esse risultano diversificate (primo obiettivo). Mentre gli aspetti al centro del primo fattore sono eminentemente contestuali e riferiti alle dinamiche del conflitto sul terreno, quelli che caratterizzano il secondo contrappongono invece valutazioni critiche ad altre solidali verso Israele. D’altra parte, i temi che specificano il terzo fattore, di natura prettamente politica, intrecciano considerazioni sulle conseguenze attuali del conflitto e quelle prevedibili per il futuro con argomentazioni che richiamano la necessità di un cessate il fuoco. Tale esigenza di pace sembrerebbe qui auspicata più per controbilanciare la minaccia di danni peggiori a breve termine (Bandura, 1990) che non per creare le condizioni indispensabili a dirimere ed affrontare le cause del conflitto. E’ dunque specie nel secondo fattore che si rilevano espressioni a forte carica emozionale che contrappongono due rappresentazioni di Israele. Mentre la prima impiega espressioni delegittimanti (Bar-Tal, 1990) che inducono reazioni di odio e di disprezzo che come tali incrementano la discriminazione intergruppi (Branscombe, Ellemers, Spears e Doosjie, 1999; Sternberg, 2003),  la seconda si concentra invece su elementi di minaccia riferiti a Israele che inducono empatia emozionale (reattiva) e pertanto simpatia e solidarietà  (Batson, Polycarpou, Harmony-Jones, Imhoff, Mitchener, Bednar, Klein, e Highberger, 1997; Stephan e Finlay, 1999).  La collocazione delle testate in rapporto a tali contenuti risulta diversificata come da noi ipotizzato (ipotesi 1b): gli articoli di Repubblica pure concentrandosi su aspetti contestuali  evidenziano anche posizioni critiche sull’operato di Israele analogamente al Manifesto, mentre si allineano con quelle espresse dal Foglio circa la necessità di un cessate il fuoco.

Infine, relativamente al secondo obiettivo, diversamente da quanto sostenuto dagli studi storico-politici sull’antisemitismo, le nostre evidenze mostrano una scarsa presenza di contenuti stereotipici riferiti ad Israele. Ciò sembrerebbe dunque confermare l’ipotesi 2c da noi avanzata in linea con quanto sostenuto da Van Dijk (1987), secondo cui che tali espressioni comparirebbero maggiormente nelle conversazioni rispetto alla stampa. Ciò non esclude tuttavia la possibilità di verificare in futuro, tramite specifiche analisi delle argomentazioni proposte negli articoli,  la validità dell’ipotesi alternativa inizialmente formulata.

Passando alle implicazioni di questi risultati per gli studi sugli atteggiamenti verso  Israele, essi confermano solo in parte quanto precedentemente rilevato (EUMC, 2003; Luzzatto Voghera, 1994; Pickett, 2002; Wistrich, 2006) circa il ruolo della stampa  nel trasmettere informazioni negative al riguardo, mettendo in luce un quadro più articolato. Posizioni critiche e/o negative sono rilevabili unicamente nelle testate giornalistiche politicamente orientate a sinistra mentre rappresentazioni più  positive si riscontrano invece in quelle orientate a destra e neutrali. E’ presumibile che questi andamenti possano almeno in parte riflettere le contrapposizioni ideologiche rigidamente strutturate negli anni della guerra fredda.  L’insieme di questi risultati ci suscita tuttavia una serie di domande che meriterebbero di essere approfondite da future ricerche, sia nell’ambito degli studi sulle comunicazioni di massa, sia in quelli sul pregiudizio. Ed in specifico: “Le diversità rilevate nei discorsi pubblici su Israele nella stampa italiana sono altrettanto riscontrabili in quelli di altri mezzi di comunicazione assai più fruiti, come i giornali radio?”, “L’orientamento politico, che qui risulta cruciale nel differenziare fra le testate lo è altrettanto nella percezione sociale di questo gruppo nazionale?”, “Situazioni di focus group consentirebbero davvero, come sostiene Van Dijk (1987), di catturare  quei repertori stereotipici qui solo moderatamente rilevati?”.

Consapevoli del fatto che le caratteristiche di questo studio sui contenuti lessicali riferiti ad Israele non consentono di cogliere appieno le rappresentazioni di Israele veicolate dalla stampa e che le conclusioni a cui siamo giunti sono specificamente riferite ad un contesto di guerra, riteniamo tuttavia che questo lavoro costituisca un utile punto di partenza per giungere a meglio precisare le dimensioni che attualmente articolano la percezione sociale di questo Paese e dei suoi  abitanti.

In conclusione, il fatto che la stampa italiana non veicoli un’immagine univoca al riguardo, ci fa ritenere che essa eserciti una influenza moderata (Bar-Tal e Teichman, 2005) nel trasmettere immagini stereotipiche di Israele.

Riferimenti bibliografici

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Note

[1] I  60 articoli rilevati nel periodo di relativa pace risultano così distribuiti fra le testate Corriere della Sera, 26 (pari al 43%); Repubblica, 26 (43%); Il Manifesto, 1 (1,7%); il Foglio, 7 (11,3%).

 

[2]  Tale metodo si applica allo studio di tabelle che risultano da matrici rettangolari di occorrenze (numero di volte che una parola ricorre in un testo) che sono formate dall’incrocio di lemmi (ovvero parole ricondotte alla loro radice lessicale) x variabili (costituite nel caso qui considerato dalle quattro testate giornalistiche).

2024

J’accuse: come un titolo può cambiare la realtà: percezione e propaganda nella stampa internazionale

di Sofia Tranchina

Un J’accuse verso  i media che, per motivi politici o per disattenzione, hanno condotto una campagna abominevole, ingannando l’opinione pubblica e oscurando la cronologia dei fatti. J’accuse  le testate che svendono la verità per un titolo accattivante ma fuorviante, senza preoccuparsi di ciò che il lettore comprende. J’accuse i giornalisti che scelgono sinonimi ingannevoli, ben consapevoli di operare una manipolazione dialettica. Tra questi, quelli che usano “è morto” o “è stato assassinato” a seconda del soggetto, e quelli che hanno scritto nei loro titoli che gli ostaggi israeliani salvati dall’IDF erano stati liberati, inducendo il lettore distratto a credere che Hamas li avesse rilasciati volontariamente. Non è un mistero che la realtà percepita dal lettore sia modellata dalla precisa scelta di una parola in grassetto, di una certa foto o di un certo titolo.

 

 

Un esempio eclatante di manipolazione – involontaria e in buona fede, vogliamo credere – è l’edizione cartacea del 29 luglio del Washington Post: in alto, una foto scattata da Heidi Levine che ritrae i drusi di Majdal Shams al funerale dei 12 bambini uccisi da un razzo proveniente dal Libano. Sotto, in grande, il titolo “Israele colpisce target in Libano”. Benché in realtà il target colpito da Israele fosse il comandante di Hezbollah Fuad Shukr, ritenuto il primo responsabile dell’attacco che ha causato la morte dei suddetti 12 bambini, l’associazione del titolo e dell’immagine trasmette a primo impatto che i morti e le lacrime nella foto siano causati da Israele che colpisce il Libano, e non dal Libano che colpisce… che cosa colpisce? Non “territorio in mano a Israele”, non il più neutro “le Alture del Golan”, ma “i territori occupati illegalmente da Israele sulle Alture del Golan”.

Con questa formula, la maggior parte delle testate internazionali hanno spostato l’attenzione dalla morte di bambini innocenti che giocavano a pallone allo status del territorio “occupato nel 1967 da Israele, la cui sovranità sulle Alture del Golan è stata riconosciuta solo dall’America”.

Omettendo però che questa regione è stata militarizzata e usata dalla Siria negli anni ’50 e ’60 per dominare sul nord di Israele da una posizione strategica sopraelevata, e lanciare numerosi attacchi contro civili israeliani in Galilea. Omettendo che nel 1957 un attacco siriano al kibbutz Gadot uccise la civile Ra’aya Goldschmidt, e un altro attacco al kibbutz Gonen uccise Kamus Ben Atiya. Omettendo che l’Egitto di Nasser spingeva per un attacco coordinato contro Israele, creando un’alleanza con Siria e Giordania sotto il nome di Repubblica Araba Unita, armata dall’Unione Sovietica; che accumulò numerose forze egiziane nel Sinai, bloccò le rotte marittime israeliane nello Stretto di Tiran, e spinse Israele nella guerra dei Sei Giorni di quel 1967 in cui “occupò – illegalmente – le alture del Golan”.

Alcuni giornali si sono dilungati poi a specificare che i drusi “si considerano siriani, non israeliani”, ma non hanno specificato che questo è vero solo per la minoranza di drusi delle Alture del Golan, e non per i 150mila drusi che, poco più a sud, detengono la cittadinanza israeliana e si coscrivono del tutto volontariamente al servizio militare israeliano, in cui raggiungono anche posizioni d’alto rango e nel quale hanno combattuto per Israele contro i vicini arabi e palestinesi. E, Dio non voglia, senza specificare che diversi membri drusi siedono anche nel parlamento israeliano (Knesset).

 

Un altro esempio di manipolazione – inintenzionale, beninteso – è il titolo del New York Times del 2016: “2 Palestinians Killed Following Stabbing Attack in Jerusalem” (2 palestinesi uccisi in seguito ad un accoltellamento a Gerusalemme), che non fa nessun riferimento al fatto che i palestinesi uccisi erano proprio i terroristi responsabili dell’accoltellamento, uccisi da una guardia di sicurezza mentre si dirigevano verso un negozio alimentare per accoltellare altre vittime. Solo dopo pressioni esterne il titolo è stato cambiato in “Palestinian Assailants Are Killed After Knife Attack on 2 Israeli Women” (Aggressori palestinesi vengono uccisi dopo l’attacco con coltello contro 2 donne israeliane).

 

Più recentemente, colpisce la strana apologia per il terrorista Ismail Haniyeh – leader di Hamas e amico del sanguinario ayatollah Khamenei – descritto dalla CNN come “forza moderata e leader politico”, da Sky come “molto moderato” e dal New York Times come “relativamente pragmatico”, appellativi che stridono alquanto con il personaggio, che ha sempre glorificato la jihad e il martirio, e ha la responsabilità di diversi attentati terroristici. Il quotidiano parigino Libération l’ha dipinto come un negoziatore che voleva la pace, scrivendo: «il leader politico di Hamas in esilio, ucciso mercoledì 31 luglio a Teheran in un attacco israeliano, è stato il principale negoziatore del movimento per i colloqui di cessate il fuoco volti a porre fine alla guerra a Gaza».

Tra i vari necrologi, la BBC ha pubblicato un “Chi era Ismail Haniyeh in 140 parole”, in cui non menziona nemmeno una volta i suoi attentati terroristici omicidi, dipingendo in un quadro lacunoso un uomo tutt’al più innocente assassinato da Israele, così buono da intrattenere “buoni rapporti” anche “con altri gruppi palestinesi rivali”.

La BBC, peraltro, è stata accusata di antisemitismo istituzionale sistemico in una lettera firmata da 208 persone (incluso l’ex controllore di BBC One Danny Cohen), che chiedevano un’indagine interna e fornivano esempi di inesattezze e parzialità nella copertura della guerra a Gaza, riportando testimonianze di dipendenti ebrei. La risposta del presidente della BBC Samir Shah è stata di respingimento, sostenendo che l’azienda rispetta i più alti standard di imparzialità. Questo atteggiamento ha suscitato indignazione tra i firmatari: l’ex produttore di Panorama, Neil Grant, ha dichiarato che «quando presentiamo prove convincenti dell’antisemitismo istituzionalizzato della BBC, firmate da oltre 200 colleghi, ci aspettiamo di essere ascoltati e non manipolati, soprattutto dal consiglio della BBC, che non discuterà nemmeno formalmente le nostre preoccupazioni».

La responsabilità sociale dei media nel promuovere la comprensione (e con essa, si spera, la pace) piuttosto che il conflitto non è solo una questione di etica professionale. La disinformazione mediatica può rafforzare pregiudizi esistenti, influenzando i comportamenti delle persone e portando talvolta ad attacchi fisici violenti, e può condizionare le politiche estere, avendo ripercussioni significative sulle vite delle persone coinvolte nel conflitto.

Per questo, è cruciale includere testimonianze e prospettive diversificate, come ha spesso fatto La Repubblica di Molinari mettendo fianco a fianco testimonianze opposte. Raccogliere voci diverse, includendo esperti, testimoni oculari e rappresentanti di varie comunità, permette di offrire una visione più completa e sfaccettata della realtà.

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N.D.R.: fra il 2011 e il 2024 c’è una differenza? Non vogliamo influenzare il lettore. Possiamo però asserire che ciò che Sofia Tranchina riferisce a testate straniere, vale in parte per quelle nazionali, soprattutto nel descrivere la “moderazione” di Haniyeh.