LE CONQUISTE DELL’ISLAM: TERRA E DONNE
Ieri era l’8 marzo, festa della donna, e come è noto, ricorda il giorno del 1908 in cui andò a fuoco la fabbrica tessile Cotton di New York, ma di sicuro il vero evento catastrofico avvenne il 25 marzo 1911 nella fabbrica newyorchese Triangle, in cui morirono 146 donne, per lo più giovani immigrate.
Questo a conferma del fatto che la donna è stata sempre oggetto di sfruttamento, per cui anche il giorno a lei dedicato è conseguenza di una disgrazia inumana.
Questa discriminazione è tollerata e incoraggiata da tutte le religioni, di cui una si distingue per distacco: l’Islam.
Seguendo le tracce storiche dalla sua nascita in poi abbiamo assistito a un crescendo di coercizioni senza confronto, fino all’ultimo paradosso afgano che, potenzialmente, potrebbe addirittura limitare l’altissimo tasso di natalità che si riscontra tra i seguaci di questa religione.
I talebani, tornati al potere dopo l’ingloriosa ritirata americana, hanno proibito alle donne di parlare in pubblico e di studiare.
Le donne, inoltre, non possono ricevere cure da un medico maschio, per non scoprire le sue nudità, quindi solo un medico donna può visitare e curare un’altra donna; essendo, tuttavia, impedito loro lo studio, da qui a breve non ci saranno più donne medico e, conseguentemente, le donne potranno morire sia di parto che di banali infezioni.
È quasi come assistere allo sterminio dei topi raccontata da Robert Browning nella famosa fiaba “il pifferaio magico di Hamelin”.
Il potere del maschio sulla donna, quindi, troverebbe così il suo epilogo per mancanza di attrici; un potere assoluto che dà licenza di imporre abiti claustrali per impedire anche fisicamente almeno l’approccio visivo.
Questo provoca anche, come abbiamo già avuto modo di vedere, delle dannosissime turbe sessuali nell’uomo e ne falsa e stravolge l’approccio al sesso perché forzatamente le pulsioni proprie dello sviluppo ormonale portano questi infelici a trovare altre vie, tra cui l’omosessualità indotta e la violenza anche di gruppo sull’elemento femminile, spesso donne non islamiche, su cui si esercita il potere della costrizione.
La donna è oggetto di conquista, così come la terra, che l’Islam cerca di far propria con ogni mezzo per adempiere al precetto che il mondo deve essere dominato solo da questa religione, verso la quale i fedeli estrinsecano un senso di soggezione e di arroganza insieme.
Il combinato disposto di questi due precetti sostanziali portano al paradosso che chi lotta per essi è un martire che, dopo la morte, avrà come premio paradisiaco la compagnia (o la conquista) di settantadue vergini, che lo aspettano.
Verrebbe da fare una facile ironia, se la faccenda non fosse di una gravità assoluta: come troverà il martire queste crocerossine del sesso…? Vestite di un abito rituale o come madre Eva nel paradiso terrestre…?
Come dicevo, invece, la questione è seria e, per come la vedo io, è alla base degli avvenimenti del 7 ottobre.
Sono giorni che ci interroghiamo e ci arrovelliamo su quanto successo in quella tragica giornata, senza arrivare a nessuna conclusione seria se non quella di prendere atto che è scoppiata una guerra catastrofica e la più imponente ondata di antisemitismo dagli anni trenta in poi.
È come stare alle sorgenti di un grande fiume in cui confluiscono dei ruscelli che, tutti insieme, ingrossano il corso d’acqua principale, perciò vediamo di circoscrivere uno per volta questi “ruscelli”.
Uno è la frustrazione sociale: molti dei partecipanti al pogrom lavoravano presso i kibutzìm assaltati e, quindi, hanno partecipato con gioia a “punire” i propri datori di lavoro.
Un altro è la motivazione sessuale con turbe indotte dalle proibizioni di cui abbiamo appena parlato.
Il terzo è la conquista della terra per aggiungere tasselli al califfato, che è il vero obiettivo di chi parla falsamente di Palestina.
Della Palestina, che non esiste né come stato, né come entità territoriale, non interessa a nessuno, altrimenti non si spiegano i continui rifiuti di terra in cambio di pace.
Questo mix esplosivo ha portato le conseguenze che conosciamo, ma che molti, anche tra noi, si rifiutano di inquadrare o di focalizzare nei tre “ruscelli” da me indicati.
Insisto, perciò, nell’affermare che l’Islam è una religione semplice e totalizzante, basata su pochi principi, ma non sulla reciproca solidarietà, e su pochi obiettivi; tra cui le imposizioni e le negazioni legate al sesso.
Per avere una dimensione realistica di quanto sto dicendo consiglio, ancora, di vedere o rivedere con attenzione il film “Lawrence d’Arabia”.
Marco Del Monte, ingegnere
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