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SPROPORZIONE, FAKE NEWS E FAME

SPROPORZIONE, FAKE NEWS E FAME

Ieri l’altro il governo d’Israele ha fatto sapere che non consentirà l’ingresso di altri aiuti umanitari a Gaza, provocando la solita ridda di accuse allo stato che vuole affamare un popolo vessato e ridotto alla fame.

Abbiamo trattato a più riprese la accurata regìa con la quale è stata gestita l’immagine di Hamas per la restituzione degli ostaggi e già il confronto “visivo” con le “vittime vere del 7 ottobre” e i protagonisti del contesto parlava chiaro: larve umane (gli ostaggi) in mezzo a miliziani con la divisa stirata (mai usata prima) e al popolo festante: tutti in forze e ben pasciuti.

Il confronto non mente, ma, al solito gli utili idioti, ai quali non ci abitueremo mai, continuano a dire che Israele li affama. Perfino il papa, dal suo letto di dolore al decimo piano del Policlinico “Gemelli”, fa la solita telefonata al parroco di Gaza per sapere come si sfamerà la popolazione.

Israele afferma che, invece, hanno scorte per sei-quattro mesi e che se vogliono continuare a ipernutrirsi dovranno scendere a più miti consigli.

Una mossa del genere blocca soprattutto il flusso di denaro vero risultante dal traffico illegale che Hamas opera con questi aiuti (materializzati in viveri, medicinali e carburanti vari), quindi il blocco dovrebbe indurre la popolazione a prendersela con i veri affamatori e non con Israele.

Un’altra anomalia allucinante: Medici senza Frontiere (e senza pudore) mantiene su Gaza mille uomini, più un infinità di scorte di medicinali ed attrezzature sanitarie.

Di cosa hanno paura…? Che anche questo povero manipolo di  volontari muoia di fame e di stenti…?

Ma il mondo non si rende conto che ogni lamento che viene da Gaza è ripagato con donazioni e lasciti e che  il vero traffico nero avviene proprio all’interno della striscia….!

Qualche anima bella ha il coraggio di dire che Gaza era ed è una prigione a cielo aperto. Nella mia vita professionale mi sono dovuto occupare anche di edilizia penitenziaria e non ho mai visto un carcere dotato di ogni conforts e dove si vende di tutto, droghe comprese.

Ogni inquadratura che ci fanno vedere ci mostra gente col telefonino in mano, cioè in grado di comunicare e propagandare quello che vuole.

La C.R.I. nelle carceri israeliane è di casa, va e viene a piacimento, i detenuti vedono i familiari più volte a settimana, studiano e si laureano: ma sugli ostaggi israeliani superstiti buio assoluto. Anche nella Striscia la C.R.I. e le altre associazioni umanitarie sono di casa, ma non spiegano come mai non siano riusciti a vedere neanche uno di quei poveretti, imprigionati da più di cinquecento giorni.

Abbiamo assistito alla riconsegna di alcuni di loro con cerimonie pompose e retoriche atte a dimostrare una superiorità conquistata sul campo (questa è una fake che cercano di propinare al mondo).

Per dire la verità, io ho un anno di più dello Stato d’Israele e non mi ricordo nessun momento nel quale questo famigerato stato di Palestina potesse nascere davvero.

In effetti in quasi ottant’anni dalla sua possibile proclamazione non sono mai stati tracciati dei confini entro i quali si potesse dire: “Si, questo è uno Stato, chiamiamolo Palestina” che potesse rimanere fisso “per omnia saecula saeculorum”.

Invece, nei millenni passati ha dato nome (per poco) alla Striscia, terra appunto di falashtìn (filistei per gli Ebrei), passando poi per il sud del Neghev e una parte di Transgiordania, poi per la  Trasgiordania, sparendo nell’epoca del dominio romano (dal 40 a.Ch. in poi), per ricomparire in sostituzione delle provincie di Galilea e Samarìa da parte di Adriano (163 d. Ch.).

Scomparve nei secoli successivi e ricomparse con l’Impero ottomano, non al posto della Giudea, ma spostata tra il Mare Mediterraneo e il sud del Libano, per riacquistare visibilità al tempo del protettorato inglese di nuovo al posto di parte della Giudea e comprendente tutta la Cisgiordania.

Fatto questo breve tour geografico-temporale si capisce meglio la difficoltà di disegnare sul terreno i confini di questo stato: tuttavia Arafat, nel 1973, proclamò che esistevano i palestinesi che dovevano portare la kefìa come copricapo, ma senza dire dove sarebbero dovuti stare.

Nel frattempo, sempre più cristiani si rifugiarono nei confini di Israele e altrettanto fecero gli omosessuali di ogni fede; ma di questo il parroco di Gaza non si occupa certo….!

Dimenticavo, anche in questa crisi non ho sentito una sola voce affermare che i Gazawi stanno sulla terra di Palestina: sarà un caso o è una fake pure questa…?

Marco Del Monte, ingegnere