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LA QUESTIONE EBRAICA 45 La parolaccia

LA QUESTIONE EBRAICA 45 La parolaccia

 

Nell’ultima puntata della nostra ricognizione sul grande libro di Emanuele Calò La questione ebraica nella società postmoderna abbiamo commentato le osservazioni dell’autore riguardo all’ambigua e obliqua espressione “di origine ebraica”, con la quale si suole spesso fare riferimento alle ascendenze familiari, etniche o religiose di qualcuno di cui non si vuole comunque affermare in modo netto e chiaro l’identità ebraica.

Il carattere sfuggente e relativo di tale indicazione può essere interpretato in diversi modi. A volte esso può volere fare intendere un certo allontanamento di un soggetto dalle sue radici, oppure può indicare un giudizio sospeso sulle sue idee religiose o culturali, o sul suo senso di appartenenza. Ciò può essere comprensibile e spiegabile, e non è necessariamente un segno di malevolenza, dal momento che l’identità ebraica può essere intesa, di volta in volta, tanto come un “essere” quanto come un “fare” o un “credere”, una realtà, quindi, più o meno soggettiva o oggettiva.

Chi è nato ebreo, anche se da una famiglia pienamente osservante, è ovviamente libero di distaccarsi dalle sue radici, e di scegliere altre strade. Gli antisemiti, nelle varie epoche, hanno adottato diverse interpretazioni dell’ebraismo: per molti secoli, quando imperava il potere ecclesiastico, prevaleva un’interpretazione di tipo “soggettivo”, in quanto l’ebreo poteva “salvarsi” dalla sua condizione (salvo continuare a essere guardato con sospetto o disprezzo) abbracciando la fede cristiana o islamica; a partire dall’Ottocento, è prevalsa un’interpretazione meramente “oggettiva”, legata all’idea dell’appartenenza (ineliminabile) a una “razza” inferiore e maledetta, ed è quella che è stata tradotta nelle leggi razziali di Germania e Italia.

Al giorno d’oggi sembra prevalere invece una singolare valutazione “mista”, di tipo tanto “oggettivo” quanto “soggettivo”: gli ebrei sono tutti insieme responsabili di qualcosa (soprattutto, in questi anni, di quanto accade in Medio Oriente), a meno che non diano attiva e concreta dimostrazione di dissociarsi in modo radicale dagli altri ebrei “oggettivamente” cattivi (oggi, gli israeliani). Ma questa dissociazione deve essere radicale, totale, assoluta. Se a un uomo qualunque è permesso dire “di Israele e della Palestina non mi importa nulla”, e nessuno lo condannerà per questo, a un ebreo (o un soggetto “di origine ebraica”) ciò non sarà mai concesso. Il suo silenzio sarà inteso automaticamente come un’autocondanna.

Ed ecco nascere, in questo contesto, la ricercatissima categoria degli ebrei “antisionisti”, impegnati in una costante, ossessiva, martellante criminalizzazione non solo di questo o quel governo israeliano, ma dello stato ebraico in sé, automaticamente oggetto di un rifiuto di tipo assoluto, ontologico. Intendiamoci, la libertà è un bene sacrosanto, la parola “tradimento” non appartiene al mio vocabolario (se non per chi abbia prestato un solenne e volontario giuramento di fedeltà, come i militari, i ministri, i magistrati, e soltanto finché restino nell’esercizio delle loro funzioni), e non mi sono mai piaciute le “liste di proscrizione” stilate in libri su presunti “ebrei contro Israele”. Ma è un dato di fatto che questi “ebrei dissidenti” o “alternativi” non sono solo amatissimi dagli antisemiti, ma sono anche ricercatissimi sul mercato dei mass media, in modo decisamente sproporzionato rispetto al loro numero e anche, mi permetto di dire, e senza volere generalizzare, ai loro meriti. Non è il caso di fare nomi, non ce n’è bisogno.

Osserva Calò che “chi scrive di origine ebraica ammette che essere ebrei non sia una bella condizione e che, onde essere pietosi, la si ammanta di qualche lieve pecca genealogica, dissolta dal tempo. Questo, ad essere buoni, perché, ad esserlo di meno, salterebbe all’occhio che attribuire ai personaggi famosi un’origine ebraica è anche un modo di negarne l’ebraismo”.

Calò cita, al riguardo, un interessante saggio di Sara Natale, dall’eloquente titolo La parolaccia ebreo: dalle accezioni antisemite al politicamente corretto, nel quale vengono esposte le ragioni della frequente omissione di quella che potrebbe essere spesso intesa, appunto, come “una parolaccia”. Esse, secondo la Natale (a sua volta, attenta studiosa del pensiero di Calò), sarebbero quattro.

Ne parleremo nella prossima puntata.

 

Francesco Lucrezi, storico