Tradotto in termini più semplici, vuol dire che, chi segue degli schemi ideologici oppure, oggi giorno che le ideologie non vanno più di moda, chi crede che gli ebrei rubino la terra, abbisogna di frasi fatte senza le quali non potrebbe vivere. Soprattutto, le frasi fatte consentono di fare a meno della realtà. Un professorino arrabbiato, che è ossessionato con Israele, riesce a scrivere del conflitto in corso a Gaza, accantonando spesso le ragioni oppure ridimensionandole (il 7 ottobre), e fa proseliti sui social media, discorrendo della (per lui) efferatezza israeliana, come se fosse una sorta di maledizione sulle cui ragioni non fosse necessario soffermarsi. Dispiace dover dar ragione ad Hannah Arendt, per ragioni sulle quali oggi non voglio scrivere, perché in questo momento mi preme sottolineare quale nonsenso vi sia nel trascurare del tutto la realtà, attaccandosi al mero dolore. Tutto questo, che è profondamente antiscientifico, ricorda da vicino lo studio e la memoria dell’Olocausto, laddove si basino sul mero dolore, così confondendo le acque. Il mero dolore è la conseguenza, non la scaturigine. All’apertura dei lager, molti guardiani e guardiane furono uccisi subito oppure impiccati dopo, e sicuramente avranno subito un grande dolore, ma se non si spiega cosa avevano compiuto, sarà difficile capire quel dolore. Deploro Hiroshima e Nagasaki, e qui mi batto impotente al bivio fra metonimia e sineddoche: ma se ometto la menzione di Pearl Harbor e, prima, dello stupro di Nanchino, la spiegazione continuerà a latitare. Non è improbabile che questo zelo che dimostra questo docente sia dovuto a qualche bias, recondito ma che affiora prepotentemente sotto forma di nevrosi ossessiva, unita a quella prosopopea ingiustificata che, anch’essa, va a finire per estrarre dal dizionario un termine che fa parte sia del turpiloquio che degli intercalari adolescenziali. Come e perché abbiamo mandato in cattedra alcuni associati che, impegnati nella battaglia per l’ordinariato, potrebbero o dovrebbero provocare nelle commissioni qualche malcelata inquietudine? Laddove la propaganda trascura l’arendtiana «casualità che pervade la realtà», privilegiando i propri fantasmi interiori a spese della realtà, cessiamo di preoccuparci per i docenti, per dedicare le nostre amorevoli apprensioni agli innocenti, vale a dire, ai discenti. Forse dovremmo cominciare a rivedere qualche cosa e finanche a porre qualche domanda. Ad esempio, se l’accanimento sullo Stato ebraico possa diventare causa di surmenage.
Tradotto in termini più semplici, vuol dire che, chi segue degli schemi ideologici oppure, oggi giorno che le ideologie non vanno più di moda, chi crede che gli ebrei rubino la terra, abbisogna di frasi fatte senza le quali non potrebbe vivere. Soprattutto, le frasi fatte consentono di fare a meno della realtà. Un professorino arrabbiato, che è ossessionato con Israele, riesce a scrivere del conflitto in corso a Gaza, accantonando spesso le ragioni oppure ridimensionandole (il 7 ottobre), e fa proseliti sui social media, discorrendo della (per lui) efferatezza israeliana, come se fosse una sorta di maledizione sulle cui ragioni non fosse necessario soffermarsi. Dispiace dover dar ragione ad Hannah Arendt, per ragioni sulle quali oggi non voglio scrivere, perché in questo momento mi preme sottolineare quale nonsenso vi sia nel trascurare del tutto la realtà, attaccandosi al mero dolore. Tutto questo, che è profondamente antiscientifico, ricorda da vicino lo studio e la memoria dell’Olocausto, laddove si basino sul mero dolore, così confondendo le acque. Il mero dolore è la conseguenza, non la scaturigine. All’apertura dei lager, molti guardiani e guardiane furono uccisi subito oppure impiccati dopo, e sicuramente avranno subito un grande dolore, ma se non si spiega cosa avevano compiuto, sarà difficile capire quel dolore. Deploro Hiroshima e Nagasaki, e qui mi batto impotente al bivio fra metonimia e sineddoche: ma se ometto la menzione di Pearl Harbor e, prima, dello stupro di Nanchino, la spiegazione continuerà a latitare. Non è improbabile che questo zelo che dimostra questo docente sia dovuto a qualche bias, recondito ma che affiora prepotentemente sotto forma di nevrosi ossessiva, unita a quella prosopopea ingiustificata che, anch’essa, va a finire per estrarre dal dizionario un termine che fa parte sia del turpiloquio che degli intercalari adolescenziali. Come e perché abbiamo mandato in cattedra alcuni associati che, impegnati nella battaglia per l’ordinariato, potrebbero o dovrebbero provocare nelle commissioni qualche malcelata inquietudine? Laddove la propaganda trascura l’arendtiana «casualità che pervade la realtà», privilegiando i propri fantasmi interiori a spese della realtà, cessiamo di preoccuparci per i docenti, per dedicare le nostre amorevoli apprensioni agli innocenti, vale a dire, ai discenti. Forse dovremmo cominciare a rivedere qualche cosa e finanche a porre qualche domanda. Ad esempio, se l’accanimento sullo Stato ebraico possa diventare causa di surmenage.