PESSIMISMO 4 Il vicino affettuoso
Avevo annunciato, all’inizio della mia ricognizione ‘pessimistica’, i cinque temi su cui la avrei articolata: Ucraina, Taiwan, Corea del Nord, Stati Uniti, Israele. E avevo anche detto che solo sull’ultimo dei cinque il pessimismo – che pure c’è, e abbondante – sarebbe stato temperato da qualche spiraglio di luce. Sugli altri, buio pesto. E non è affatto un “numerus clausus”, ci sono tanti altri posti del mondo nei quali la situazione non mi piace: Ungheria, Brasile, Francia, Siria, Libano… Ma lasciamo stare. Non ci metto l’Italia, perché il discorso sarebbe troppo complesso, e comunque, per il Bel Paese, prevale, stranamente, una cauta speranza. L’Iran l’avevo dimenticato, e, ovviamente, dovrò parlarne.
Veniamo dunque alla Corea. In un mio recente soggiorno di lavoro (nonché di piacere) in Giappone ho avuto modo, in diverse occasioni, di parlare della situazione coreana con i miei colleghi locali, che hanno avuto modo di comunicarmi le ragioni della loro profonda preoccupazione al riguardo.
Com’è noto, gli abitanti di quel bellissimo e civilissimo Paese (non si trova una carta buttata per terra neanche a pagarla a peso d’oro, e saltare una fila deve essere considerato un misfatto pari all’omicidio) sono abituati a vedersi costantemente usati come bersaglio delle esercitazioni militari della Corea del nord, che lancia verso l’arcipelago dei temibili missili a lunga gittata, dall’altissimo potenziale distruttivo.
I missili finiscono in mare, volutamente, e il messaggio è chiarissimo. Ci basta poco per distruggere le città del Sol levante, la nostra mira è ottima, e le ogive possono essere nucleari.
Il Giappone, com’è noto, nonostante la sua formidabile potenzialità tecnologica, è poco armato (in teoria, secondo Costituzione, non avrebbe neanche un esercito), anche se ora, col consenso (anzi, su richiesta) degli Stati Uniti, è in atto un processo di graduale riarmo, ancora agli inizi. Al momento, però, di fronte ai gesti del bellicoso vicino, si trova in una situazione simile a quella di Isacco legato per il sacrificio, e non può che sperare (al di là dell’auspicata protezione dell’alleato americano) che quelle del vicino non siano che delle provocazioni.
Ma perché queste continue provocazioni? La Corea del Nord non dice (come fa qualcun altro) che vuole eliminare l'”entità nipponica”, né che vuole invaderla o annetterla. Le attenzioni di questo “amico affettuoso” possono trovare solo due spiegazioni. Una è l’evidente interesse che la Cina (protettore e cinico utilizzatore di quel piccolo “impero del male”, che però, formalmente, è uno stato indipendente e sovrano) ha nel disporre di una costante arma di pressione nei confronti degli Stati Uniti, costretti a impegnare risorse ed energie su quel fronte, e a impetrare l’intercessione di Pechino. La seconda è una ragione interna di politica nordcoreana, in quanto la dittatura al potere in quel Paese, in cui la popolazione è ridotta letteralmente alla fame, è costretto a tenere tutti in uno stato di perenne mobilitazione militare, evocando un perenne stato di guerra e di emergenza, atto a giustificare una totale limitazione delle più elementari libertà (stampa, cellulari, internet ecc.).
Se la situazione si allentasse, il sistema imploderebbe, perché il Paese è quasi completamente privo di una sia pur rudimentale organizzazione produttiva. La giustizia, la sanità, l’istruzione sono delle barzellette, l’unica cosa che funziona sono le prigioni e i missili. Ebbene, i miei amici giapponesi mi hanno detto di temere, per il futuro, essenzialmente due cose (e, dato che mi è stato detto da più di una persona), penso che sia vero.
La prima è che l’affettuoso vicino, un giorno a o l’altro, per un qualsiasi motivo (un errore, un ordine arrivato da Pechino, un desiderio di cambiare gioco, un aumento di affetto, chi sa…), i missili non li butti più nel mare, ma suoi palazzi e i grattacieli di Tokyo, Kyoto, Osaka, Nagoya.
La seconda è che il regime di Pyongyang crolli, e milioni e milioni di profughi, stremati dalla fame e dalla disperazione, cerchino rifugio nella Corea Sud e, soprattutto, nel ricco e opulento Giappone (che ha però, a parte i minuscoli staterelli, la densità abitativa più alta del mondo, quasi il doppio dell’Italia). Perché la Cina, certamente, non se li prenderebbe.
Queste le paure dei miei amici giapponesi. Loro, pur inclini al sorriso e al buon umore, non vedono soluzioni. E io neanche. Cosicché il mio pessimismo, purtroppo, sale.
Francesco Lucrezi, storico