Pessimismo 3 Il grande e il piccolo
Anticipai, all’inizio di queste mie considerazioni sul mio essere pessimista, che una delle ragioni che mi inducono a esserlo è il problema di Taiwan. Credo che il destino dell’isola sia infatti segnato, e niente potrà mai impedire che essa, in un futuro neanche tanto lontano, sia fagocitata dal potente vicino.
Osservo, al riguardo, innanzitutto, che la Cina popolare, secondo me, non può vantare nessun diritto alla conquista forzata della Cina nazionalista, indipendentemente dalla volontà dei suoi abitanti. Diversamente da casi (come quelli, per esempio, della Catalogna, o del Sahara occidentale) in cui una regione dichiara di non riconoscersi del Paese di cui fa politicamente parte, e ne chiede il distacco (con motivazioni che possono essere considerate più o meno condivisibili), in questa circostanza non c’è nessuno che “se ne vuole andare”, ma, al contrario, c’è chi “non vuole entrare” in una casa a cui ritiene di non appartenere. E le ragioni della non appartenenza non sono irragionevoli: c’è stata una guerra civile, che ha portato le due parti in lotta a dividersi il territorio della comune madrepatria. Alla fine del conflitto, nel 1949, sono contemporaneamente nati due stati, uno grande e uno piccolo, le cui strade si sono definitivamente divise.
Dove sta scritto che il più grande ha il diritto di prendersi il più piccolo? Non dimentichiamo che, fino alla normalizzazione dei rapporti con la Cina comunista, l’Occidente aveva riconosciuto solo Taiwan come legittimo stato cinese. Non era una soluzione accettabile, certo, perché anche la Cina popolare esiste, ma dimostra, se mai ce ne fosse bisogno, che anche l’altra esiste. Se esisteva ieri, come può essere scomparsa oggi?
La soluzione proposta da Pechino, secondo cui coesisteranno pacificamente due diversi sistemi economici in un unico regime politico, salvaguardando autonomia, tradizioni ecc., è chiarissima nelle sue conseguenze, perché la stessa cosa era stata promessa per Hong Kong, e tutti sappiamo come è andata a finire, in pochissimo tempo. Le reiterate promesse di preservare libertà di pensiero, diritti civili e altro si sono rivelate scritte sull’acqua. Con Taiwan andrebbe certamente nello stesso modo, con un di più di spirito vendicativo nei confronti degli ex avversari, una volta piegati e asserviti. E abbiamo anche il sinistro esempio del Tibet (Paese che storicamente è sempre stato ben distinto dalla Cina), che, dopo essere stato invaso con la forza, è stato poi sistematicamente sottoposto a un processo di snaturamento culturale, con la continua immigrazione forzata di cinesi provenienti da lontane contrade, che col Tibet non hanno mai avuto niente a che fare. I nativi tibetani sono ormai una sparuta minoranza, il vecchio Tibet non esiste più. La tanto deprecata espressione “sostituzione etnica”, in questo caso, credo che ci possa stare. Così avverrà anche con Taiwan.
Le continue provocazioni militari di Pechino, ogni giorno più esplicite e aggressive, non lasciamo dubbi sulle intenzioni del regime. L’isola, in tempi brevi, sarà invasa con la forza. Taiwan è armata, certo, ma la differenza tra le forze in campo è quella che è. E tutto lascia prevedere che l’Occidente non farà nulla, al di là di proteste di facciata. Eventuali sanzioni al gigante non farebbero neanche il solletico. L’America non potrebbe permettersi di sfidare apertamente il colosso cinese, molti americani non lo capirebbero, e i rischi sarebbero enormi.
Non c’è da illudersi che Pechino possa mai abbandonare il progetto della preannunciata annessione. È una cosa che è stata ribadita in termini assolutamente categorici, le ‘prove’ sono in atto da decenni, se il regime cambiasse posizione perderebbe ogni credibilità, e non si potrà rinviare all’infinito. Non sappiamo solo quando, con esattezza, si passerà dalle parole ai fatti.
È evidente che Pechino trae grande vantaggio dall’attuale conflitto in Ucraina, che impegna e indebolisce le altre due superpotenze. Quante più risorse l’America spenderà in questa guerra, tanto meno potrà impegnarsi su un altro fronte, militare o economico. Una lunga durata del conflitto è nell’interesse della Cina, che è anche molto interessata all’esito della guerra. Una vittoria – politica o militare – della Russia verrebbe da tutti interpretata come un semaforo verde per un’azione di forza da parte dell’altro colosso asiatico, che potrebbe essere ancora più sanguinosa, e ancora più gravida di terribili pericoli.
Francesco Lucrezi, storico