IL DIRITTO ALLA GENITORIALITÀ DEL DETENUTO.
IL CASO DI YIGAL AMIR
- Diritti in cerca di soggetto.
Già da molti anni, ormai, si parla di ‘diritti’ a tutela di ‘entità’ che non sono soggetti giuridici, o perché non esseri umani, o in quanto esseri umani non più o non ancora in vita. Diritti delle generazioni future, diritti degli animali non umani, diritti alla tutela della memoria di persone scomparse e altro ancora. Diritti senza soggetto, o, per parafrasare Pirandello, in cerca di soggetto. Ed è pertanto legittimo pensare a un diritto di chi non esiste a non essere concepito, e a non nascere.
Quando una coppia concepisce un figlio, ovviamente, non deve chiedere permesso a nessuno. E, infatti, molto spesso vengono al mondo delle vite con un destino amaro.
A volte le cose cambiano in meglio, altre in peggio. Ma, quando è un’autorità statale a dovere prendere la decisione se permettere un concepimento o no, è chiaro che l’unica cosa che essa dovrebbe prendere in considerazione è il tipo di vita a cui il nascituro andrebbe incontro. E quali condizioni peggiori possono esistere rispetto a quelle del figlio della coppia Amir-Trembovler? Condannato a crescere senza padre e, presumibilmente, a essere educato da una madre imbevuta di un’ideologia di morte, che, sempre presumibilmente, trasmetterà al figlio. Destinato a convivere con un cognome così imbarazzante, a diventare il vessillo permanente di quel “simbolo” detestato e ammirato. Un fardello davvero pesante. La considerazione, in particolare, che chi nasce non avrà l’educazione di un padre, ha sollevato, in diversi casi di richiesta di inseminazione artificiale, in vari Paesi, fondate perplessità, che hanno per lo più portato al rigetto della richiesta (per esempio, nel caso di eventuali nascite da soggetti defunti). E, nel caso in questione, si è in presenza della particolare oscillazione tra una “non educazione” e una (secondo ogni verosimile previsione) “cattiva educazione”.
È evidente, poi, che l’esistenza del bambino, oggi ragazzo, e il suo bisogno di avere un padre, vengono addotti come ulteriori argomenti a favore della liberazione anticipata di Yigal Amir. Ma essa non deve e non può avvenire, per molte ragioni. L’ostinazione del soggetto nel rivendicare il suo gesto lo rende ancora un pericolo concreto, e il rischio di atti emulativi è serio e reale. Proprio nel momento attuale, in cui la democrazia israeliana, da sempre oggetto di forti minacce esterne, è anche sottoposta a consistenti insidie interne, è quanto mai necessario che lo stato di diritto conservi gelosamente la sua forza e la sua autorità. La grazia presidenziale, in Israele come in Italia, presuppone il ravvedimento del reo e la sua cessata pericolosità. Nel nostro caso, non si è verificata nessuna delle due circostanze, per cui non deve e non può essere concessa.
Sia chiaro, oggi Yinon Amir esiste, e tutti i suoi diritti devono essere pienamente tutelati, anche se la sua legittima aspettativa a essere educato da un padre non può essere esaudita. Le colpe dei padri non devono ricadere sui figli, e gli auguriamo sinceramente ogni bene.
La nascita di un individuo segna uno spartiacque tra il “non essere” e “l’essere”, ed è anche difficile pensare a un essere umano contemplando l’ipotesi che non esista, non sia mai esistito. Dire, oggi, che Yinon “non avrebbe dovuto nascere” suonerebbe offensivo. Egli vive, gode dei suoi diritti e della protezione della sua dignità, così come a lui si chiede (oggi da minorenne, domani da maggiorenne) di adempiere ai suoi doveri e alle sue responsabilità di cittadino. E, a titolo personale, mi permetterei anche di chiedergli, se continuerà a professare la religione dei suoi genitori, di non profanarla, come loro, con interpretazioni aberranti e malate.
Per il resto, dico solo che quella decisione riguardo alla genitorialità di Yigal Amir è stata sbagliata.
(fine)
Francesco Lucrezi, storico