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ROBERTO CALVO, L’ordinamento criminale della deportazione, Laterza, Bari- Roma, 2023

Il recentissimo volume di Roberto Calvo, L’ordinamento criminale della deportazione, Laterza, Bari- Roma, 2023, consente di ripercorrere quel circo degli orrori rappresentato dalle norme naziste, fasciste e della Repubblica Sociale Italiana.

Superato il comprensibile sentimento di sgomento dinanzi a tanto orrore, dinanzi a questa Schindler’s List in versione giuridica, apprezziamo il notevolissimo contributo del benemerito autore, che potrebbe fornire lo spunto, anche come libro di testo, per l’elaborazione di riflessioni da parte degli studiosi (ma anche degli studenti) sulla falsariga del metodo giuridico.

Per ora, vediamo come l’autore ravvisi nel Mein Kampf, “l’autentica base costituzionale del terzo Reich, che affiancò e, di fatto, neutralizzò la Costituzione di Weimar del 1919”. Il primo approfondimento, quindi, potrebbe riguardare la singolare sorte di un libro caotico e immaturo che, a tutta prima, non avrebbe potuto destare alcun interesse, che però in prosieguo riesce a diventare fonte del diritto. La mente va all’innocente Costantino Mortati, e forse anche oltre.

Roberto Calvo accenna poi al “sacrificio delle libertà personali sull’altare pagano dell’antistato – e cioè dello Stato che disconosce le leggi universali (e non scritte) della giustizia e della ragione umana –, il quale pone al centro del proprio agire la difesa dell’interesse collettivo proclamato dalla tirannia del partito unico e acriticamente difeso dai suoi accoliti con le armi in mano”. Il cennato disconoscimento delle “leggi universali” non scritte, appare a stregua di un bel richiamo giusnaturalistico ma, se si vuole, anche alle previsioni aperte dell’art. 21 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (laddove dice “in particolare” lascia spalancata la porta a ogni altra fattispecie); anche qui troviamo uno stimolante spunto, proprio dei libri che invitano ad ulteriori approfondimenti.

Ancora, l’autore dice che un “passo successivo verso la nascita del regime dittatoriale fu l’entrata in vigore della Ermächtigungsgesetz (legge dei pieni poteri) approvata dal Parlamento tedesco il 23 marzo 1933. Tramite esso fu conferita al governo la potestà legislativa anche in deroga alla Costituzione; al cancelliere venne riconosciuta la competenza alla promulgazione della legge” (vedi Enzo Fimiani, La legittimazione plebiscitaria nel fascismo e nel nazionalsocialismo. un’interpretazione comparataQuaderni Storici, vol. 32, no. 94 (1), 1997, p. 185, dove si descrivono le norme emanate dal nazismo per attribuire al potere esecutivo dei poteri legislativi).

“Il governo assunse le funzioni di organo legislativo autonomo – scrive Calvo –  nelle mani del quale, di fatto, si concentrò la quasi totalità della produzione normativa marchiata dal simbolo della croce uncinata”. “Ne discese – prosegue Calvo –  l’esautoramento delle prerogative del parlamento – che divenne una specie di marionetta del governo (o di suo ornamento) – quale titolare del potere legislativo e del potere di controllo sull’operato dell’esecutivo. La funzione deliberativa dell’assembla sovrana veniva ad assumere un effetto meramente dichiarativo anziché costitutivo: ciò spiega il ricorso all’approvazione parlamentare per acclamazione del provvedimento normativo voluto dal Führer, la quale rivestì un valore figurativo e propagandistico”. Non proponiamo nemmeno lontanamente, azzardati paragoni con l’attualità. Sarebbe peròopportuna una riflessione sulla preoccupante perdita di prestigio del Parlamento, incentrata non sulle critiche alla qualità della legislazione, bensì ai vantaggi di cui godrebbero i legislatori, senza però invitare a proporre di sceglierne i candidati fra le persone più preparate. Come ebbe a dire Sabino Cassese, bisognerebbe fare attenzione non tanto alla quantità quanto alla qualità. Il parlamento è il perno della democrazia, quale rappresentanza composita degli elettori. Non solo: ogniqualvolta si avesse la sensazione che le leggi rechino, al di là delle previsioni della carta costituzionale, un’impronta governativa troppo accentuata a scapito di quella parlamentare, bisognerebbe sfogliare ancora le pagine del libro qui citato di Roberto Calvo, per meglio capire i rischi di una tale deriva. Nel suo pregevole volume, infatti, si vede come i regimi totalitari avessero fatto strame della divisione dei poteri.

In definitiva, quale preziosa fonte d’ispirazione, questo volume reca, fra le righe, un monito su ciò che la legislazione non deve essere in quanto, pur in democrazia, bisognerebbe esaminare con cura gli esempi tragici del passato, qui doviziosamente descritti, per allontanarsi il più possibile da qualsiasi progetto di legge che, pur sotto vesti apparentemente innocenti, possa somigliare ai cennati esempi. Un esempio per tutti: laddove, per malaugurata ipotesi, i disegni normativi potessero recare nocumento al pluralismo, sarebbe giusto fare una comparazione con gli incubi del passato.

Emanuele Calò © riproduzione riservata