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LA SCOMPARSA DI PAUL JOHNSON

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È morto Paul Johnson (2 novembre 1928 – 12 gennaio 2023). Il 13 gennaio scorso il Mosaic Magazine scrive: “Ieri, l’autore e giornalista Paul Johnson è mancato all’età di 94 anni. Johnson scrisse diverse opere magistrali in campo storico, che combinano perspicacia, lucidità e una rara abilità nello scorgere i fili che tengono insieme i secoli. Non corrotto dall’accademia, fu capace di adottarne le virtù di studioso, evitandone i vizi. Fu anche un uomo molto religioso”. Johnson è stato un difensore del popolo ebraico e dello Stato ebraico, un sentimento che emerge nel suo libro A History of the Jews. Le sue riflessioni sulla storia ebraica comprendono un saggio del 1998 su Commentary che offre un’analisi alquanto completa dell’antisemitismo, che qualifica come “malattia mentale” diversamente da altre forme di razzismo e xenofobia”. Dei suoi libri, si era già detto che sono “capolavori”, pieni di “giudizi penetranti” (Bernard Steinberg, Journal for the Study of Religion, vol. 2, no. 1, 1989, p. 69).  

Somerset Maugham (1874 – 1965) diceva di sé: “quando morirò, tutti saranno sorpresi, perché mi credevano già morto” eppure aveva “soltanto” 91 anni, contro i 94 di Johnson. Tuttavia, quale suo ammiratore, ogni tanto sbirciavo per vedere se fosse ancora in vita. I maschi inglesi hanno un’aspettativa di vita di anni 79.3 e le donne di 83.1 e quindi aveva superato gli uomini di quindici anni e le donne di undici: non male. In contrasto con Maugham aveva la passione per le donne (non un dovere, ma solo un diritto) mentre, in comune, aveva sia il talento che il mancato riconoscimento da parte delle rispettive corporazioni: in fondo, tutto il mondo è paese. Tant’è che Richard B. Woodward, sul perfido New York Times lo congeda così: “Writing more for a popular audience than for the approval of specialists”, incurante che lo stesso si potesse dire per la versione attuale del giornale su cui scrive, visto che il defunto fu fra i suoi collaboratori.

Al pari di Alfred Hitchcock, Johnson fu un cattolico inglese, un binomio minoritario e, qualche volta, molto stimolante. Nel 2006 fu insignito dal Presidente George W. Bush della Presidential Medal of Freedom e, dieci anni più tardi, fu designato Commander of the Order of the British Empire.

Johnson scrisse nel citato articolo su Commentary, che l’intensificazione dell’antisemitismo nel mondo arabo e la sua ricomparsa in parte del continente europeo, avevano dato luogo ad analisi fuorvianti che lo ricollegavano al razzismo e alla xenofobia, sulla scorta della persecuzione nazista. Invece, per Johnson l’antisemitismo sarebbe una malattia intellettuale, una malattia mentale, estremamente infettiva e massivamente distruttiva, alla quale sono esposti sia gli individui che intere società. I genetisti e gli esperti obietteranno – diceva Johnson – che il suo rilievo non è scientificamente valido. Costui risponde con una domanda: è possibile porre in essere giudizi scientifici in quest’ambito, visto che gli scienziati non possono neanche mettersi d’accordo nel definire la razza oppure nell’attribuirle qualche senso? Si tratterebbe di un fenomeno naturale ed inevitabile, ma che può essere mitigato; ciò che colpisce, in ogni caso, sarebbe “la sua fondamentale irrazionalità”. Non sarebbe sorprendente, per Johnson, che la teoria antisemita sviluppata dai giovani hegeliani avesse svolto un ruolo di prima grandezza nell’evoluzione dei metodi analitici del marxismo. L’articolo su Commentary dimostra come l’antisemitismo avesse portato al disastro coloro che se ne sono serviti (al riguardo, Johnson elenca puntualmente gli Stati che se ne sono avvalsi). Il discorso è, naturalmente, assai lungo e, aggiungiamo noi, è stato fatto da qualche economista anche all’interno dell’Italia, spiegando che la cacciata degli ebrei dal meridione, quale riverbero dell’espulsione decisa dai Re di Spagna, avrebbe contribuito a creare il divario fra nord e sud che ancora affligge il Paese. Per carità, è solo un’opinione, ma ricordo che sia l’autore che l’ateneo dove opera sono sicuramente autorevoli.

Paul Johnson rileva per noi quale autore di una notevole “Storia degli Ebrei” (A History of the Jews) pubblicata nel 1987 (tradotta addirittura in coreano nel 2014 e in cinese nel 2021) e che ancora potrebbe essere reperita anche nella sua traduzione italiana, presentata così: “A provocative survey capturing 4,000 years of the extraordinary history of the Jews-as a people, a culture, and a nation. This historical magnum opus covers far more than the basics of Jewish history. It shows the impact of Jewish character on the world; their genius, imagination and most of all, their ability to persevere despite severe persecutions. Compelling insights into events and individuals are chronologically detailed: from Moses and Jesus to Spinoza, Marx, Freud, the Rothschilds and Golda Meir”.

Sarebbe legittimo cimentarsi nel non agevole impegno di cercare di meglio, purché si sia già in possesso delle informazioni che contiene quest’opera, la quale possiede il merito non minuscolo di essere ottimamente organizzata, ottimamente scritta, assai completa e densa di giudizi puntuali, in modo da renderne la lettura scorrevole e amena. L’autore lascia una produzione letteraria sterminata, che possiede sempre le stesse caratteristiche di profondità e scorrevolezza. Nel caso della “Storia degli Ebrei” l’autore si rivela un grande amico del popolo ebraico, diremmo un amico appassionato e privo di pregiudizi. Johnson, nella sua vita pubblica, passò da sinistra a destra, ma questo non è una rarità. Piuttosto, ebbe l’idea di giustificare nel suo libro “Modern Times” il colpo di Stato di Augusto Pinochet. È vero che Allende aveva portato il Cile al collasso, che non si era impegnato per consentire l’estradizione di Walter Rauff, responsabile nazista delle camere a gas mobili ed è anche vero che con le ricette di Milton Friedman il Cile fu il solo Stato del sub continente ad avere un’economia in condizioni decorose. Tuttavia, è preferibile la peggior democrazia alla miglior dittatura, e su questo non sono ammessi i dubbi. Questo lo scriviamo per completezza, perché queste bizzarrie nulla tolgono al valore della produzione complessiva di Paul Johnson. Purtroppo, bisogna prendere atto che quell’impasto di bene e di male che è nell’essere umano appare pressoché ineliminabile. Basti pensare che è stato un uomo pieno di difetti e di pregiudizi come Winston Churchill a salvare il mondo. Questo ed altri ragionamenti richiederebbero ben altro spazio; per ora limitiamoci a rendere omaggio alla memoria di Paul Johnson e, soprattutto, leggiamo e rileggiamo la sua Storia degli Ebrei. Non ve ne pentirete.

Emanuele Calò © riproduzione riservata