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Perplesso senza guida 1

Esprimere un giudizio sull’esito delle ultime elezioni in Israele, sulla formazione del nuovo governo e sulle annunciate riforme in materia di giustizia ed equilibrio dei poteri mette in seria difficoltà chi, come il sottoscritto, ha sempre detto che – in un Paese democratico – è il popolo sovrano che decide da chi farsi governare, che la sua volontà va sempre rispettata e che chi non vota in quel Paese, non paga le tasse e non sopporta alcun rischio, sul piano della propria incolumità – per difenderlo, o semplicemente per il fatto di vivere là -, non ha diritto di sindacare le scelte di chi, invece, tutte queste cose le fa, e le subisce.

Sento, però, stavolta, di non potermi astenere dal farlo. Devo, quindi, litigare col me stesso di qualche anno fa?

Io ho sempre detto, e lo confermo, che sostenere Israele – come ho sempre cercato di fare; spesso, certamente, in modo ingenuo e acritico, come sempre fanno gli innamorati – significa sostenerlo nella sua interezza, nella sua peculiare e multiforme realtà: singolare incrocio tra tradizione e modernità, mirabile palingenesi (espressione di Primo Levi) della millenaria esperienza ebraica, utopia almeno in parte realizzata di riscatto e giustizia, essenziale punto di riferimento per la coscienza contemporanea. Creatura imperfetta, imperfettissima, ovviamente, come tutte le cose umane. Eppure, nonostante i suoi innumerevoli difetti, monito morale verso quel “resto del mondo” che, spesso, non mostra di amarlo.

Se sostegno deve essere dato, esso, pertanto, non deve andare a questo o quel governo, questo o quel partito, ma a “kol Israel”, tutto Israele: la sua storia, i suoi sacrifici, la sua cultura, la sua arte, le sue sofferenze, i suoi cittadini, le sue madri, i suoi soldati, la sua giustizia, le sue istituzioni democratiche, i suoi governi e le sue opposizioni.

Ma perché, potrebbe obiettare qualcuno, ogni volta che parli di Israele usi sempre parole altisonanti e poetiche, per non dire retoriche? Tutti, a quattordici anni, si innamorano perdutamente della biondina dagli occhi azzurri, ma continuare a essere ossessionati da lei da anziani non è tanto normale. Beatrice rimase un ideale eterno e luminoso proprio perché fu trasformata dal suo spasimante – senza il suo permesso – in un ideale astratto e irreale. Se Dante l’avesse sposata, le cose sarebbero andate ben diversamente. E, se fossero rimasti insieme, l’allodola e l’usignolo dei due amanti veronesi avrebbero ben presto lasciato posto ad argomenti ben più prosaici.

Obiezione giusta. È certamente una fissazione. Inutile e difficile spiegarne le ragioni, diventerebbe un discorso autobiografico, molto poco interessante.

Al di là dei sentimenti e delle emozioni, comunque, alla base del mio sostegno, ingenuo e acritico, vedo essenzialmente due convinzioni.

La prima, che quel piccolo popolo e quel piccolo Paese avessero sempre subito, dal famoso resto del mondo, un’incommensurabile quantità di ingiustizie. Una condizione che, come spiegò, con parole addolorate, Levinas, è certamente una sventura, ma vale anche a rivelare l’elezione d’Israele come qualcosa proveniente “al di qua della civiltà”, confinato in “quattro cubiti di halachah, in una dimora precaria e divina”.

La seconda, che quel piccolo popolo e quel piccolo Paese rappresentassero – tra mille difficoltà – una piccola isola di giustizia e diritto (pur con tanti limiti, fragilità e contraddizioni), in un mondo che, tanto spesso, mostra di smarrire completamente il senso di queste due parole.

La prima convinzione resta salda. L’atteggiamento del mondo non permette, purtroppo, di abbandonarla.

Quanto alla seconda, non posso negare, con grande amarezza, che vacilla. O, quanto meno, è messa a dura prova.

Il sostegno continuerà, ma le modalità cambieranno.

Credo che i quasi cinquant’anni di ingenua e acritica militanza sionista mi autorizzino a dire come la penso. D’altronde, ci sono probabilmente cittadini israeliani che pronunciano la parola “Israele” meno di quanto faccia io, e che, pur vivendo in quel Paese, si interrogano meno di me sul suo passato e futuro.

Lo farò con umiltà, ma con franchezza.  Come un osservatore, parafrasando Maimonide, “perplesso senza guida”.

Francesco Lucrezi, storico