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La “resistibile” ascesa delle ideologie

Le manifestazioni che agitano lo Stato di Israele dimostrano, ancora una volta, la vitalità di una democrazia che reagisce ai tentativi di impadronirsi del significato garantito dalle sue regole formali.
Non si tratta di una sparuta minoranza che partecipa alla polarizzazione di uno tralatizio scontro carsico tra opposte fazioni; ma, della reazione critica a un fronte eterogeneo, gigante dai piedi di argilla, che su poche idee condivise tenta di rinegoziare alcune delle proiezioni sociali di una moderna democrazia, come l’esercizio della giustizia.
Il tentativo di ipostatizzare questa complessa e fragile maggioranza politica entro lo schema descrittivo di un monolite, in una facile narrativa manichea, finisce per offrire coerenza  ove non ne esiste.
Il fattore religioso, ad esempio, non è -né potrebbe essere- appannaggio di una sola parte, ma esso si invera tra le matrici culturali di Israele, elemento identitario che ha contribuito alla fondazione dello Stato.
La complessità delle dinamiche (e dei significanti) a cui soggiace la definizione del patto sociale costituisce una delle forze intrinseche di una democrazia, da cui prendono le mosse le sue espressioni procedurali; dunque, il tentativo di appropriarsi di uno di questi elementi può includersi nel tentativo di rinegoziarne unilateralmente le regole procedurali.
Il fondamento delle proteste, in questo ordine di idee, potrebbe rintracciarsi nella difesa del significato del patto sociale che sostiene uno Stato moderno, il tentativo di impedire che esso divenga espressione di una parte e occupi quel “vuoto” con cui le regole formali costruiscono il naòs della democrazia.
Difendere l’assenza di un significato unico da cui far dipendere i processi decisionali può, così, intendersi quale rifiuto di idolatrare le ideologie, in ciò i numeri (pur importanti) non sempre riescono a restituire il valore di alcune scelte della società civile.
Francesco Ferrara, giurista