Vai al contenuto

Sensibilità religiosa, sincretismi e cultura ebraica nel Meridione d’Italia

Il tema della religiosità viene oggi avvertito come questione di grande rilevanza culturale; la più rilevante, forse, nella dialettica delle dinamiche complesse dell’odierno mondo occidentale. Superata la fase in cui l’Occidente si avvertiva estraneo alla violenza delle intolleranze riguardanti aree meno fortunate del mondo. Superata la fase in cui il medesimo Occidente è stato vittima delle aggressioni provenienti dalle velleità di un fanatismo indistinto e incomprensibile. Il recupero del sentimento religioso diventa oggi più che mai un orizzonte lenitivo necessario alla società anomica del nostro tempo che tenta così di darsi, e dare, risposte alle aggressioni che sono state culturali (prima ancora che terroristiche) nel quadro di un modello spirituale da ritrovare. Nella prospettiva di questo riavvertito bisogno di trascendenza, dunque, si ingrossano viepiù le fila di quanti assumono posizione critica nei riguardi dell’egemonia neoliberista dell’Occidente contemporaneo. Di quanti intravedono in esso qualcosa che – se non è – molto si avvicina a un “totalitarismo morbido”. Nel seno del quale abbiamo visto imporsi l’esclusione dell’espressione religiosa dalla sfera pubblica. Ma un’analisi del presente, anche nel verso di un problema come quello delle “libertà religiose”, non può esimersi da una riflessione storica, se ancora riconosciamo alla storia quel magistero utile alla comprensione della realtà. E per comprendere l’origine dello stato attuale, che ha visto l’imporsi di una “religione” ideologica delle “libertà” a spese della Religione secolare d’ Occidente, dobbiamo individuare la radice prima dell’intolleranza. Questa radice noi crediamo di riconoscerla nell’alienazione, avvenuta cinquecento anni fa, della religione ebraica dall’Europa meridionale. Un evento, quello, in cui individuiamo il seme del presente e la ferita che una una parte di Occidente, tra cui il Meridione d’Italia, espone ancora viva. Un depauperamento culturale che risiede nella negazione di questa espressione religiosa che sempre più si configura – tramite recenti studi –  centrale nella fondazione del mondo culturale occidentale, a partire dal Meridione della Penisola Italica, quel Meridione che, proprio per questa ascendenza, è stato (ed è tutt’ora) stigmatizzato come poco aderente ai dettami della Religione secolare. Il principio di una ritrovato sentimento religioso, dunque, sia oggi inteso anche come libertà di ricostruire, senza pregiudizi e attraverso la conoscenza, gli sviluppi delle espressioni della fede; sia cioè anche affezione e riconosciuto valore alla religiosità antica. Un esercizio questo che ci condurrà all’evidenza di un Meridione che è stato veicolo del primo monoteismo d’occidente; un processo definito dal grande rabbino -intellettuale livornese Eliah Beneamozegh (Rabbino, esegeta e cabalista italiano, Livorno 1823 – 1900) che, pur non riferendosi a questo specifico focus, ebbe a definire concettualmente l’ incontro tra paganesimo greco e contributo ebraico, uno sviluppo  logico in cui non è difficile intravedere, anche, la parabola costitutiva della religiosità cristiana e la definizione del pensiero filosofico d’occidente. Tale processo dunque troviamo efficacemente descritto nella incomparabile analisi offerta dal dal suo saggio Israele e l’Umanità in cui viene affermando come: «(lo) sforzo di riunire le parti al tutto, il Pan alla monade, sono conformi alla religione più antica. Questa può dunque aspirare a diventare universale, dal momento che la sua dottrina fa appunto sparire la pretesa impossibilità filosofica di avvicinare le credenze greche […] al  monoteismo biblico» (Benamozegh, Israele e l’umanità, ed. Marietti 1820; Genova 2016 (1914). p.41) Non a caso crediamo, il trait d’ union  lo si può rilevare – concordi con l’idea dell’illustre livornese – nella disciplina della Qabballah  « capace […] di ristabilire l’armonia tra l’ebraismo e la Gentilità » ( ibid). Quella materia esoterica della numerologia che nel Meridione, e a Napoli – città greca a forte presenta ebraica – ebbe la diffusione che conosciamo. E la pregnanza della materia cabbalistica viene rappresentata come luogo concettuale di incontro tra la rappresentazione simbolica dell’ebraismo e l’immagine, sia colta che popolare, del paganesimo: «Abbiamo ricordato [ …] presso gli ebrei, il loro orrore per le immagini. Eppure […] nella parte più augusta del santuario troviamo […] due figure: i cherubini […] Cosa significa questa strana anomalia? Per noi si tratta di due simboli materiali della Qabbalah di cui rappresentano probabilmente una delle più alte verità, ma nello stesso tempo ci sembrano appartenere, sia come idea che come immagine sensibile, alla religione popolare dei gentili.» (Ivi). Alla luce di quanto esposto, dunque, non possiamo non riconoscere nell’espressione dell’ebraismo meridionale oltre alla secca espressione di una fede, anche il valore di una libertà culturale che, nel suo esercizio, ha prodotto il contributo incommensurabile che riconosciamo oggi in molti aspetti della cultura meridiana. Il medesimo valore che, poi negato, costituisce l’inaridimento di un territorio che fu approdo di tutte le sensibilità religiose che, coralmente, hanno dato un contribuito alla costituzione di un’etica occidentale.

 

Gennaro A. Avano

saggista e antropologo