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GIORGIA MELONI: L’ABIURA NON È LA RISPOSTA

Sabino Cassese (Corriere della Sera del 29 dicembre 2022) segnala come al rapporto Governo – Parlamento, si sia sostituito il rapporto Governo – società civile, che si svolge attraverso i sondaggi in una sorta di campagna elettorale permanente. In questo modo, si procede verso la delegittimazione della democrazia, che si basa sulla delega dei poteri, poiché la democrazia diretta, quanto meno oggi giorno, altro non è che un ossimoro. Questo nuovo populismo delegittima la politica come professione e lascia spazio all’improvvisazione la quale, appena ci si rifletta, è il tratto distintivo delle dittature. In questo senso, quando la Presidente del Consiglio sostiene che non le importa essere rieletta dopo il suo quinquennio, finisce paradossalmente, per rivelarsi un’antifascista inconsapevole, così come qualche isolato leader della sinistra, laddove svela un’idiosincrasia irragionevole nei riguardi dello Stato ebraico, offre talvolta l’impressione di essere un fascista inconsapevole.

È comparsa la pretesa di richiedere ai leader di Fratelli d’Italia l’abiura, in quanto la condanna delle leggi razziali sarebbe insufficiente senza la coeva condanna del fascismo. Ciò lascia perplessi, perché evidentemente non si rammenta che l’abiura era lo strumento e/o lo scopo principale del Sant’Uffizio. E poi, quale credibilità può avere una dichiarazione che non sia frutto di un percorso autonomo e privo di pressioni? Ha senso, per esempio, chiedere al Presidente del Senato di camminare sui ceci o di indossare un cilicio virtuale? La democrazia si basa sul dibattito, sulla cultura, sui ragionamenti, sulla condivisione dei valori. Sarebbe da domandarsi perché tanti italiani evochino il fascismo come una sorta di paradiso perduto, mentre limitarsi a chiedere loro di abiurare e di pentirsi accorcia la distanza fra noi e l’Età di mezzo.

Qual è la differenza fra destra e sinistra? Taluni considerano che la destra vede un mondo disordinato e lo vorrebbe ordinato, mentre la seconda vede un mondo ingiusto e lo vorrebbe permeato di giustizia. Il fascismo, dal canto suo, pertiene al mondo della destra, ma ne costituisce soltanto una misera parte, fatta di solo autoritarismo. In Italia, il fascismo non si è preoccupato di educare ma di istruire, mentre ha posto molta cura nel reprimere con la forza. Il sistema fascista ha goduto di grande consenso, ma coloro che acconsentivano chiedevano, non tanto paradossalmente, di essere privati della libertà, e questo è un tratto in comune col comunismo, appena si pensi alle strofe di Bandiera Rossa che recitano “evviva il comunismo e la libertà!” come se fossero compatibili. Anche in questo caso, è legittimo domandarsi come si possa piegare la logica all’ideologia senza esserne consapevoli.

Hanna Arendt non sembrava vedere nel fascismo un movimento totalitario; ne “Le origini del totalitarismo”, asserisce che “La differenza fra il fascismo ed i movimenti totalitari è meglio illustrata dal loro atteggiamento verso l’esercito, cioè verso l’istituzione nazionale per eccellenza. A differenza dei nazisti e dei bolscevichi, che hanno distrutto lo spirito dell’esercito subordinandolo alla politica mediante commissari o formazioni totalitarie di élite, i fascisti potevano servirsi di strumenti fortemente nazionalisti come l’esercito, con il quale si identificavano in quanto essi stessi si erano identificati con lo Stato. Volevano uno stato fascista e un esercito fascista, ma pur sempre un esercito e uno Stato; solo nell’URSS e nella Germania nazista lo Stato e l’Esercito divennero subordinati al movimento. Il dittatore fascista – ma né Hitler né Stalin – fu l’unico vero usurpatore nel senso della teoria politica classica, e il suo governo a partito unico era in un certo senso l’unico ancora intimamente legato con il sistema multipartitico. Ha realizzato ciò che la mentalità imperialista, leghe, società e “partiti sopra i partiti” avevano mirato, così in particolare il fascismo italiano è diventato l’unico esempio di moderno movimento di massa organizzato nel quadro di uno Stato esistente, ispirato unicamente dal nazionalismo estremo.”. Tutto ciò è assai bizzarro, perché, come detto, il termine ‘totalitarismo’ era stato coniato dallo stesso fascismo. Invece, Emilio Gentile (La via italiana al totalitarismo) sostiene che il fascismo era ontologicamente otalitario. Per Stephen Whitfield (Into the Dark. Hanna Arendt and Totalitarianism), invece, la differenza fra fascismo e totalitarismo risiede in una parola: “genocidio”. A nostro avviso, invece, per capire cosa sia il fascismo bisognerebbe agire non per deduzione bensì per induzione, a partire dalle connotazione dell’uomo fascista, ed è ciò che in qualche modo fa Erich Fromm  (Fuga dalla libertà) quando traccia le connotazioni del carattere autoritario. È quindi possibile riconoscere il fascismo a partire dal fascista: un soggetto autoritario, gerarchico, che non concede alla donna se non un ruolo ancillare, che non concede spazio ad opinioni diverse, basato sul mito della nazione oppure della razza, spesso affetto o succube dal mito della eterna cospirazione ai suoi danni. Il comunismo, per contro, è inscindibilmente legato alla varia demonologia marxista, che Paul Johnson ravvisa come una teoria cospirativa, mentre un grande politologo come Karl Popper lo identifica nella miseria intellettuale dello storicismo. Rinnegare il fascismo è un’operazione che postula la sua identificazione, compresa l’individuazione dei tratti che lo rendono spesso attraente. Ciò è il contrario del moralismo, un’operazione intellettualmente miseranda e, soprattutto, controproducente.

La citata proposta di abiura del fascismo urta contro l’ammissione del Movimento Sociale Italiano fra le forze politiche, malgrado fosse di stampo nettamente fascista, in violazione dell’art. XII delle Disposizioni transitorie e finali della Costituzione italiana: “E` vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista”.  È possibile chiedere di pentirsi di aver partecipato ad un partito ritenuto unanimemente legittimo, ancorché a torto, per quasi un secolo? Ernesto Galli della Loggia ha, perspicuamente, attirato l’attenzione verso il secondo comma del citato articolo, laddove recita “In deroga all’articolo 48, sono stabilite con legge, per non oltre un quinquennio dalla entrata in vigore della Costituzione, limitazioni temporanee al diritto di voto e alla eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista”. Galli della Loggia ha giustamente scritto: “Ma attenzione: queste limitazioni, si aggiunge, dovranno essere temporanee e comunque in vigore per “non oltre un quinquennio dall’entrata in vigore della Costituzione”. Insomma, i “capi responsabili del regime fascista” – tanto per fare qualche nome di quelli allora ancora in vita, Federzoni, Scorza, Grandi, Bottai, Vidussoni e compagnia bella – dal 1953 in poi avrebbero potuto tranquillamente sedere e dire la loro nel Parlamento della Repubblica. Mi chiedo: si può immaginare qualcosa di analogo nel caso della Germania? Si può immaginare che nella Repubblica federale si consentisse ai “capi responsabili del regime nazista”, di prendere parte dopo qualche anno dalla fine del Terzo Reich ai lavori del Bundestag? E come mai è impossibile solo immaginarlo?” (Corriere della Sera, 3 ottobre 2022). Ne consegue che, a quasi un secolo di distanza del fascismo, scoprire il carattere eversivo di un partito che ha militato e agito alla pari degli altri partiti, soprattutto dall’avvento di Silvio Berlusconi che porta loro al governo, appare come un’operazione incomprensibile. La nostalgia del fascismo può essere pure un segno di non altissima maturità, ma finché non si traduce in apologia di reato o nella commissione di atti discriminatori, la cennata richiesta di abiura appare una proposizione di dubbia legittimità.

Resta vero che l’Italia, a dispetto della sua apparente irrilevanza sul piano internazionale, è da sempre un laboratorio politico di prima grandezza, capace di partorire il fascismo, il pensiero gramsciano, la via italiana al comunismo, il compromesso storico e il grillismo. Quanto al fascismo, è da ribadire come il termine ‘totalitarismo’ gli appartenga e, addirittura, sia un suo parto politico.

Fratelli d’Italia, da ultimo, si presenta come una sorta di nazionalismo molto meno integralista e corrivo di quello ungherese e polacco, i cui ultimi esiti dipenderanno dalla capacità del partito di dotarsi di intellettuali veri che lo rendano una forza di destra moderna che anziché rintanarsi nel binomio antieuropeismo/autarchia, cerchi di ammodernare lo stantio e obsoleto ordinamento italiano, tenendo conto della competizione fra ordinamenti in seno all’Unione Europea, impegnandosi in una competizione economica virtuosa con gli altri Stati membri. Probabilmente non ne possiede ai mezzi, ma sta alle forze laiche evitare di isolarlo, per contribuire in modo onesto e trasparente alla sua piena integrazione nella dialettica destra/sinistra propria delle democrazie.

Emanuele Calò © riproduzione riservata